02 Maggio 2013
L’accoglienza dello straniero
Accoglienza e
ospitalità fanno parte del DNA dei calabresi. Era tradizione antica aprire
la propria casa al viandante, allo straniero, a colui che, per vari motivi,
si trovava di passaggio nei nostri paesi. Bastava veder arrivare in piazza
qualcuno e ci si avvicinava subito a chiedere informazioni sull’insolita
presenza, per poi predisporre l’accoglienza con cuore aperto.
Anche se oggi può
sembrare molto strano, è documentata, fino al secolo scorso, la pratica
usuale di onorare lo straniero di passaggio con gesti concreti di
solidarietà. Per esempio, agli inizi del 1900, il viaggiatore e studioso
inglese Norman Douglas, visitando la nostra Calabria, elogiò la particolare
predisposizione all’ospitalità delle popolazioni locali. Egli racconta, nei
suoi diari di viaggio, come fosse facile per il viandante trovare una casa
in cui albergare, lasciando una forte testimonianza storica del carattere
ospitale dei Calabresi (Vecchia Calabria –N.Douglas – Ediz.
Giunti, 1967).
Oggi le cose sono
cambiate. Intorno a noi la paura ed altri simili sentimenti hanno
contribuito a chiudere le nostre case allo straniero… e anche, purtroppo, i
nostri cuori si stanno chiudendo. Nelle nostre comode case il forestiero è
sempre più raro. Alla nostra tavola l’estraneo non trova posto. Ma, del
resto, chi è l’ospite che vorrebbe stare alla tavola della diffidenza,
apparecchiata con crescente egoismo e ricca di pietanze farcite di fredda
indifferenza?
Forse stiamo
esagerando? Una cosa è sicura: anche in questa area dell’accoglienza e
dell’ospitalità, la società del nostro tempo sta declinando nuovi paradigmi,
non sempre positivi.
Non è certo facile
trovare le giuste risposte alle nuove istanze di accoglienza, considerando
che la richiesta d’aiuto non arriva più dal viaggiatore solitario ma dagli
ingenti flussi migratori tipici della nostra epoca. Con l’arrivo di folle
numerose di profughi, emigranti in cerca di lavoro e rifugiati politici che
bussano alla nostra porta, una certa inquietudine assale il nostro cuore. Di
fronte alla concreta difficoltà nel dare una risposta adeguata alle esigenze
di interi gruppi etnici che chiedono disperatamente aiuto, spesso ci
troviamo impreparati e ci sentiamo inadeguati.
Noi cristiani
abbiamo però un comandamento... noi che qualche volta ci siamo anche sentiti
stranieri in questo mondo, e che a volte siamo rifiutati per il nostro
modo di agire e di pensare controcorrente:
“...accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la
gloria di Dio” (Romani 15:7).
Queste parole
dell’Apostolo Paolo, prese da un contesto in cui si invita alla tolleranza,
risuonano attuali anche oggi. Abbiamo dunque il dovere di praticare
l’accoglienza, noi che siamo stati accolti, perdonati, amati da Gesù il
quale, venendo dal cielo, è stato su questa terra lo straniero per
eccellenza.
Ricordiamo
che Egli dirà ad alcuni, quando tornerà: “Fui straniero e mi
accoglieste…” (Mt 25:35).
Se dunque ci
disponiamo, come veri cristiani, ad accettare la Parola immutabile di Dio
che ci chiede di ricevere lo straniero, dobbiamo anche cercare di capire,
guidati dal consiglio di Cristo e dalla Sua eterna Parola, come attuare i
nostri buoni propositi.
Al di là dei
progetti, delle iniziative, delle strategie socio-politiche sviluppate dalle
Istituzioni e dalle forze sociali una cosa è sicura: il primo adeguamento
alle nuove esigenze di accoglienza dello straniero deve essere nel nostro
cuore!
È lì che bisogna
fare spazio, per cominciare! È nel nostro cuore che bisogna elaborare la
giusta strategia, è nel nostro
cuore che bisogna allestire il primo campo profughi, perché ogni
problema dell’umanità parte sempre dal cuore.
Possiamo allora
stabilire, anche in questo caso, che il cuore del problema è sempre il
cuore!
Recepita dunque
l’istanza e individuato il problema di fondo resta da concepire un progetto,
per poi attuarlo monitorandone l’efficacia.
Insieme ai vari
programmi di intervento sociale il progetto più importante secondo noi è
quello di adottare sentimenti d’amore, di pazienza, di rispetto, di
tolleranza verso lo straniero, finalizzati all’integrazione se questo
incontra il desiderio del migrante. Attuare questo progetto non costa poi
tanto: ciò che è richiesto è la rinuncia ai sentimenti di rifiuto, razzismo,
egoismo per lasciare spazio a sentimenti cristiani di solidarietà. L’intero
processo allora si svilupperà spontaneamente attraverso tre fasi
progressive: accoglienza, coabitazione ed infine una condivisa integrazione.
Ma crediamo che tutto questo debba
cominciare nel nostro cuore, prima nel nostro cuore.
(Marco Ielo)
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