Accoglienza e ospitalità fanno parte del DNA dei calabresi. Era tradizione antica aprire la propria casa al viandante, allo straniero, a colui che, per vari motivi, si trovava di passaggio nei nostri paesi. Bastava veder arrivare in piazza qualcuno e ci si avvicinava subito a chiedere informazioni sull’insolita presenza, per poi predisporre l’accoglienza con cuore aperto.
Anche se oggi può sembrare molto strano, è documentata, fino al secolo scorso, la pratica usuale di onorare lo straniero di passaggio con gesti concreti di solidarietà. Per esempio, agli inizi del 1900, il viaggiatore e studioso inglese Norman Douglas, visitando la nostra Calabria, elogiò la particolare predisposizione all’ospitalità delle popolazioni locali. Egli racconta, nei suoi diari di viaggio, come fosse facile per il viandante trovare una casa in cui albergare, lasciando una forte testimonianza storica del carattere ospitale dei Calabresi (Vecchia Calabria –N.Douglas – Ediz. Giunti, 1967).
Oggi le cose sono cambiate. Intorno a noi la paura ed altri simili sentimenti hanno contribuito a chiudere le nostre case allo straniero… e anche, purtroppo, i nostri cuori si stanno chiudendo. Nelle nostre comode case il forestiero è sempre più raro. Alla nostra tavola l’estraneo non trova posto. Ma, del resto, chi è l’ospite che vorrebbe stare alla tavola della diffidenza, apparecchiata con crescente egoismo e ricca di pietanze farcite di fredda indifferenza?
Forse stiamo esagerando? Una cosa è sicura: anche in questa area dell’accoglienza e dell’ospitalità, la società del nostro tempo sta declinando nuovi paradigmi, non sempre positivi.
Non è certo facile trovare le giuste risposte alle nuove istanze di accoglienza, considerando che la richiesta d’aiuto non arriva più dal viaggiatore solitario ma dagli ingenti flussi migratori tipici della nostra epoca. Con l’arrivo di folle numerose di profughi, emigranti in cerca di lavoro e rifugiati politici che bussano alla nostra porta, una certa inquietudine assale il nostro cuore. Di fronte alla concreta difficoltà nel dare una risposta adeguata alle esigenze di interi gruppi etnici che chiedono disperatamente aiuto, spesso ci troviamo impreparati e ci sentiamo inadeguati.
Noi cristiani abbiamo però un comandamento… noi che qualche volta ci siamo anche sentiti stranieri in questo mondo, e che a volte siamo rifiutati per il nostro modo di agire e di pensare controcorrente:
“…accoglietevi gli uni gli altri, come anche Cristo vi ha accolti per la gloria di Dio” (Romani 15:7).
Queste parole dell’Apostolo Paolo, prese da un contesto in cui si invita alla tolleranza, risuonano attuali anche oggi. Abbiamo dunque il dovere di praticare l’accoglienza, noi che siamo stati accolti, perdonati, amati da Gesù il quale, venendo dal cielo, è stato su questa terra lo straniero per eccellenza.
Ricordiamo che Egli dirà ad alcuni, quando tornerà: “Fui straniero e mi accoglieste…” (Mt 25:35).
Se dunque ci disponiamo, come veri cristiani, ad accettare la Parola immutabile di Dio che ci chiede di ricevere lo straniero, dobbiamo anche cercare di capire, guidati dal consiglio di Cristo e dalla Sua eterna Parola, come attuare i nostri buoni propositi.
Al di là dei progetti, delle iniziative, delle strategie socio-politiche sviluppate dalle Istituzioni e dalle forze sociali una cosa è sicura: il primo adeguamento alle nuove esigenze di accoglienza dello straniero deve essere nel nostro cuore!
È lì che bisogna fare spazio, per cominciare! È nel nostro cuore che bisogna elaborare la giusta strategia, è nel nostro cuore che bisogna allestire il primo campo profughi, perché ogni problema dell’umanità parte sempre dal cuore.
Possiamo allora stabilire, anche in questo caso, che il cuore del problema è sempre il cuore!
Recepita dunque l’istanza e individuato il problema di fondo resta da concepire un progetto, per poi attuarlo monitorandone l’efficacia.
Insieme ai vari programmi di intervento sociale il progetto più importante secondo noi è quello di adottare sentimenti d’amore, di pazienza, di rispetto, di tolleranza verso lo straniero, finalizzati all’integrazione se questo incontra il desiderio del migrante. Attuare questo progetto non costa poi tanto: ciò che è richiesto è la rinuncia ai sentimenti di rifiuto, razzismo, egoismo per lasciare spazio a sentimenti cristiani di solidarietà. L’intero processo allora si svilupperà spontaneamente attraverso tre fasi progressive: accoglienza, coabitazione ed infine una condivisa integrazione.
Ma crediamo che tutto questo debba cominciare nel nostro cuore, prima nel nostro cuore.
(Marco Ielo)