I tempi antichi dalla creazione ad Abraamo
Ne 9:6 (Sl 124:8; Gr 32:17; 10:12) Ro 1:20; Ap 4:11; Gv 1:1-3
Nel principio Dio creò i cieli e la terra.
Sl 104:2; Is 45:7; 2Co 4:6
La terra era informe e vuota, le tenebre coprivano la faccia dell'abisso e
lo Spirito di Dio aleggiava sulla superficie delle acque. Dio disse: «Sia
luce!» E luce fu. Dio vide che la luce era buona; e Dio separò la luce dalle
tenebre. Dio chiamò la luce «giorno» e le tenebre «notte». Fu sera, poi fu
mattina: primo giorno.
Sl 104:2-3; 19:2
Poi Dio disse: «Vi sia una distesa tra le acque, che separi le acque dalle
acque». Dio fece la distesa e separò le acque che erano sotto la distesa
dalle acque che erano sopra la distesa. E così fu. Dio chiamò la distesa
«cielo». Fu sera, poi fu mattina: secondo giorno.
Gb 38:8-11; Sl 104:6-9, 14-16
Poi Dio disse: «Le acque che sono sotto il cielo siano raccolte in un unico
luogo e appaia l'asciutto». E così fu. Dio chiamò l'asciutto «terra», e
chiamò la raccolta delle acque «mari». Dio vide che questo era buono. Poi
Dio disse: «Produca la terra della vegetazione, delle erbe che facciano seme
e degli alberi fruttiferi che, secondo la loro specie, portino del frutto
avente in sé la propria semenza, sulla terra». E così fu. La terra produsse
della vegetazione, delle erbe che facevano seme secondo la loro specie e
degli alberi che portavano del frutto avente in sé la propria semenza,
secondo la loro specie. Dio vide che questo era buono. Fu sera, poi fu
mattina: terzo giorno.
Sl 104:19; 136:7-9; 148:3, 5-6
Poi Dio disse: «Vi siano delle luci nella distesa dei cieli per separare il
giorno dalla notte; siano dei segni per le stagioni, per i giorni e per gli
anni; facciano luce nella distesa dei cieli per illuminare la terra». E così
fu. Dio fece le due grandi luci: la luce maggiore per presiedere al giorno e
la luce minore per presiedere alla notte; e fece pure le stelle. Dio le mise
nella distesa dei cieli per illuminare la terra, per presiedere al giorno e
alla notte e separare la luce dalle tenebre. Dio vide che questo era buono.
Sl 104:24-26; 148:7, 10
Fu sera, poi fu mattina: quarto giorno. Poi Dio disse: «Producano le acque
in abbondanza esseri viventi, e volino degli uccelli sopra la terra per
l'ampia distesa del cielo». Dio creò i grandi animali acquatici e tutti gli
esseri viventi che si muovono, e che le acque produssero in abbondanza
secondo la loro specie, e ogni volatile secondo la sua specie. Dio vide che
questo era buono. Dio li benedisse dicendo: «Crescete, moltiplicatevi e
riempite le acque dei mari, e si moltiplichino gli uccelli sulla terra». Fu
sera, poi fu mattina: quinto giorno.
Ge 2:19-20 (Ge 5:1-2; 2:7, 21-23)
Poi Dio disse: «Produca la terra animali viventi secondo la loro specie:
bestiame, rettili e animali selvatici della terra, secondo la loro specie».
E così fu. Dio fece gli animali selvatici della terra secondo le loro
specie, il bestiame secondo le sue specie e tutti i rettili della terra
secondo le loro specie. Dio vide che questo era buono.
Creazione dell'uomo e della donna
Sl 8:5-9 (Ec 7:29; Ef 4:24)
Poi Dio disse: «Facciamo l'uomo a nostra immagine, conforme alla nostra
somiglianza, e abbia dominio sui pesci del mare, sugli uccelli del cielo,
sul bestiame, su tutta la terra e su tutti i rettili che strisciano sulla
terra». Dio creò l'uomo a sua immagine; lo creò a immagine di Dio; li creò
maschio e femmina. Dio li benedisse; e Dio disse loro: «Siate fecondi e
moltiplicatevi; riempite la terra, rendetevela soggetta, dominate sui pesci
del mare e sugli uccelli del cielo e sopra ogni animale che si muove sulla
terra». Dio disse: «Ecco, io vi do ogni erba che fa seme sulla superficie di
tutta la terra, e ogni albero fruttifero che fa seme; questo vi servirà di
nutrimento. A ogni animale della terra, a ogni uccello del cielo e a tutto
ciò che si muove sulla terra e ha in sé un soffio di vita, io do ogni erba
verde per nutrimento». E così fu. Dio vide tutto quello che aveva fatto, ed
ecco, era molto buono. Fu sera, poi fu mattina: sesto giorno.
(Es 20:8-11; Is 58:13-14) Mr 2:27
Così furono compiuti i cieli e la terra e tutto l'esercito loro. Il settimo
giorno, Dio compì l'opera che aveva fatta, e si riposò il settimo giorno da
tutta l'opera che aveva fatta. Dio benedisse il settimo giorno e lo
santificò, perché in esso Dio si riposò da tutta l'opera che aveva creata e
fatta.
Ge 1:26-28; 1Co 15:45-49
Queste sono le origini dei cieli e della terra quando furono creati. Nel
giorno che Dio il SIGNORE fece la terra e i cieli, non c'era ancora sulla
terra alcun arbusto della campagna. Nessuna erba della campagna era ancora
spuntata, perché Dio il SIGNORE non aveva fatto piovere sulla terra, e non
c'era alcun uomo per coltivare il suolo; ma un vapore saliva dalla terra e
bagnava tutta la superficie del suolo. Dio il SIGNORE formò l'uomo dalla
polvere della terra, gli soffiò nelle narici un alito vitale e l'uomo
divenne un essere vivente.
Ap 22:1-2, 2:7
Dio il SIGNORE piantò un giardino in Eden, a oriente, e vi pose l'uomo che
aveva formato. Dio il SIGNORE fece spuntare dal suolo ogni sorta d'alberi
piacevoli a vedersi e buoni per nutrirsi, tra i quali l'albero della vita in
mezzo al giardino e l'albero della conoscenza del bene e del male. Un fiume
usciva da Eden per irrigare il giardino, e di là si divideva in quattro
bracci. Il nome del primo è Pison, ed è quello che circonda tutto il paese
di Avila, dove c'è l'oro; e l'oro di quel paese è puro; qui si trovano pure
il bdellio e l'ònice. Il nome del secondo fiume è Ghion, ed è quello che
circonda tutto il paese di Cus. Il nome del terzo fiume è Chiddechel, ed è
quello che scorre a Oriente dell'Assiria. Il quarto fiume è l'Eufrate. Dio
il SIGNORE prese dunque l'uomo e lo pose nel giardino di Eden perché lo
lavorasse e lo custodisse. Dio il SIGNORE ordinò all'uomo: «Mangia pure da
ogni albero del giardino, ma dell'albero della conoscenza del bene e del
male non ne mangiare; perché nel giorno che tu ne mangerai, certamente
morirai».
(1Co 11:7-10; 1Ti 2:11-13)(Ef 5:22-33; Mt 19:3-9)
Poi Dio il SIGNORE disse: «Non è bene che l'uomo sia solo; io gli farò un
aiuto che sia adatto a lui». Dio il SIGNORE, avendo formato dalla terra
tutti gli animali dei campi e tutti gli uccelli del cielo, li condusse
all'uomo per vedere come li avrebbe chiamati, e perché ogni essere vivente
portasse il nome che l'uomo gli avrebbe dato. L'uomo diede dei nomi a tutto
il bestiame, agli uccelli del cielo e ad ogni animale dei campi; ma per
l'uomo non si trovò un aiuto che fosse adatto a lui. Allora Dio il SIGNORE
fece cadere un profondo sonno sull'uomo, che si addormentò; prese una delle
costole di lui, e richiuse la carne al posto d'essa. Dio il SIGNORE, con la
costola che aveva tolta all'uomo, formò una donna e la condusse all'uomo.
L'uomo disse: «Questa, finalmente, è ossa delle mie ossa e carne della mia
carne. Ella sarà chiamata donna perché è stata tratta dall'uomo». Perciò
l'uomo lascerà suo padre e sua madre e si unirà a sua moglie, e saranno una
stessa carne. L'uomo e sua moglie erano entrambi nudi e non ne avevano
vergogna.
CAPITOLO 3
Il peccato di Adamo e la prima promessa
Mt 4:1-11 (2Co 11:3; 1Ti 2:14) Mt 6:13
Il serpente era il più astuto di tutti gli animali dei campi che Dio il
SIGNORE aveva fatti. Esso disse alla donna: «Come! Dio vi ha detto di non
mangiare da nessun albero del giardino?» La donna rispose al serpente: «Del
frutto degli alberi del giardino ne possiamo mangiare; ma del frutto
dell'albero che è in mezzo al giardino Dio ha detto: "Non ne mangiate e non
lo toccate, altrimenti morirete"». Il serpente disse alla donna: «No, non
morirete affatto; ma Dio sa che nel giorno che ne mangerete, i vostri occhi
si apriranno e sarete come Dio, avendo la conoscenza del bene e del male».
La donna osservò che l'albero era buono per nutrirsi, che era bello da
vedere e che l'albero era desiderabile per acquistare conoscenza; prese del
frutto, ne mangiò e ne diede anche a suo marito, che era con lei, ed egli ne
mangiò.
Gm 1:13-15 (Ro 5:12-21; 8:20-22)
Allora si aprirono gli occhi ad entrambi e s'accorsero che erano nudi;
unirono delle foglie di fico e se ne fecero delle cinture. Poi udirono la
voce di Dio il SIGNORE, il quale camminava nel giardino sul far della sera;
e l'uomo e sua moglie si nascosero dalla presenza di Dio il SIGNORE fra gli
alberi del giardino. Dio il SIGNORE chiamò l'uomo e gli disse: «Dove sei?»
Egli rispose: «Ho udito la tua voce nel giardino e ho avuto paura, perché
ero nudo, e mi sono nascosto». Dio disse: «Chi ti ha mostrato che eri nudo?
Hai forse mangiato del frutto dell'albero, che ti avevo comandato di non
mangiare?» L'uomo rispose: «La donna che tu mi hai messa accanto, è lei che
mi ha dato del frutto dell'albero, e io ne ho mangiato». Dio il SIGNORE
disse alla donna: «Perché hai fatto questo?» La donna rispose: «Il serpente
mi ha ingannata e io ne ho mangiato». Allora Dio il SIGNORE disse al
serpente: «Poiché hai fatto questo, sarai il maledetto fra tutto il bestiame
e fra tutte le bestie selvatiche! Tu camminerai sul tuo ventre e mangerai
polvere tutti i giorni della tua vita. Io porrò inimicizia fra te e la
donna, e fra la tua progenie e la progenie di lei; questa progenie ti
schiaccerà il capo e tu le ferirai il calcagno». Alla donna disse: «Io
moltiplicherò grandemente le tue pene e i dolori della tua gravidanza; con
dolore partorirai figli; i tuoi desideri si volgeranno verso tuo marito ed
egli dominerà su di te». Ad Adamo disse: «Poiché hai dato ascolto alla voce
di tua moglie e hai mangiato del frutto dall'albero circa il quale io ti
avevo ordinato di non mangiarne, il suolo sarà maledetto per causa tua; ne
mangerai il frutto con affanno, tutti i giorni della tua vita. Esso ti
produrrà spine e rovi, e tu mangerai l'erba dei campi; mangerai il pane con
il sudore del tuo volto, finché tu ritorni nella terra da cui fosti tratto;
perché sei polvere e in polvere ritornerai». L'uomo chiamò sua moglie Eva,
perché è stata la madre di tutti i viventi. Dio il SIGNORE fece ad Adamo e a
sua moglie delle tuniche di pelle, e li vestì. Poi Dio il SIGNORE disse:
«Ecco, l'uomo è diventato come uno di noi, quanto alla conoscenza del bene e
del male. Guardiamo che egli non stenda la mano e prenda anche del frutto
dell'albero della vita, ne mangi e viva per sempre». Perciò Dio il SIGNORE
mandò via l'uomo dal giardino d'Eden, perché lavorasse la terra da cui era
stato tratto. Così egli scacciò l'uomo e pose a oriente del giardino d'Eden
i cherubini, che vibravano da ogni parte una spada fiammeggiante, per
custodire la via dell'albero della vita.
Eb 11:4; 1Gv 3:12-15; 1S 15:22
Adamo conobbe Eva, sua moglie, la quale concepì e partorì Caino, e disse:
«Ho acquistato un uomo con l'aiuto del SIGNORE». Poi partorì ancora Abele,
fratello di lui. Abele fu pastore di pecore; Caino lavoratore della terra.
Avvenne, dopo qualche tempo, che Caino fece un'offerta di frutti della terra
al SIGNORE. Abele offrì anch'egli dei primogeniti del suo gregge e del loro
grasso. Il SIGNORE guardò con favore Abele e la sua offerta, ma non guardò
con favore Caino e la sua offerta. Caino ne fu molto irritato, e il suo viso
era abbattuto. Il SIGNORE disse a Caino: «Perché sei irritato? e perché hai
il volto abbattuto? Se agisci bene, non rialzerai il volto? Ma se agisci
male, il peccato sta spiandoti alla porta, e i suoi desideri sono rivolti
contro di te; ma tu dominalo!» Un giorno Caino parlava con suo fratello
Abele e, trovandosi nei campi, Caino si avventò contro Abele, suo fratello,
e l'uccise.
(Mt 23:35; Eb 12:24) Gb 15:20-24
Il SIGNORE disse a Caino: «Dov'è Abele, tuo fratello?» Egli rispose: «Non lo
so. Sono forse il guardiano di mio fratello?» Il SIGNORE disse: «Che hai
fatto? La voce del sangue di tuo fratello grida a me dalla terra. Ora tu
sarai maledetto, scacciato lontano dalla terra che ha aperto la sua bocca
per ricevere il sangue di tuo fratello dalla tua mano. Quando coltiverai il
suolo, esso non ti darà più i suoi prodotti e tu sarai vagabondo e fuggiasco
sulla terra». Caino disse al SIGNORE: «Il mio castigo è troppo grande perché
io possa sopportarlo. Tu oggi mi scacci da questo suolo e io sarò nascosto
lontano dalla tua presenza, sarò vagabondo e fuggiasco per la terra, così
chiunque mi troverà, mi ucciderà». Ma il SIGNORE gli disse: «Ebbene,
chiunque ucciderà Caino, sarà punito sette volte più di lui». Il SIGNORE
mise un segno su Caino, perché nessuno, trovandolo, lo uccidesse.
Discendenti di Caino
Ge 2:24; Mt 19:4-9
Caino si allontanò dalla presenza del SIGNORE e si stabilì nel paese di Nod,
a oriente di Eden. Poi Caino conobbe sua moglie, che concepì e partorì Enoc.
Quindi si mise a costruire una città, a cui diede il nome di Enoc, dal nome
di suo figlio. A Enoc nacque Irad; Irad generò Meuiael; Meuiael generò
Metusael e Metusael generò Lamec. Lamec prese due mogli: il nome dell'una
era Ada e il nome dell'altra Zilla. Ada partorì Iabal, che fu il padre di
quelli che abitano sotto le tende presso le greggi. Il nome di suo fratello
era Iubal, che fu il padre di tutti quelli che suonano la cetra e il flauto.
Zilla a sua volta partorì Tubal-Cain, l'artefice d'ogni sorta di strumenti
di rame e di ferro; e la sorella di Tubal-Cain fu Naama. Lamec disse alle
sue mogli: «Ada e Zilla, ascoltate la mia voce; mogli di Lamec, porgete
orecchio al mio dire! Sì, io ho ucciso un uomo perché mi ha ferito, e un
giovane perché mi ha contuso. Se Caino sarà vendicato sette volte, Lamec lo
sarà settantasette volte».
Genealogia di Adamo per la linea di Set, fino a Noè
Ge 5:3-8
Adamo conobbe ancora sua moglie ed ella partorì un figlio che chiamò Set,
perché, ella disse: «Dio mi ha dato un altro figlio al posto di Abele, che
Caino ha ucciso». Anche a Set nacque un figlio, che chiamò Enos. Allora si
cominciò a invocare il nome del SIGNORE.
(Ge 4:25-26; 1Cr 1:1-4)(Eb 11:5-6; Gd 14-15)
Questo è il libro della genealogia di Adamo. Nel giorno che Dio creò l'uomo,
lo fece a somiglianza di Dio; li creò maschio e femmina, li benedisse e
diede loro il nome di «uomo», nel giorno che furono creati. Adamo visse
centotrent'anni, generò un figlio a sua somiglianza, a sua immagine, e lo
chiamò Set; il tempo che Adamo visse, dopo aver generato Set, fu di
ottocento anni ed egli generò figli e figlie; tutto il tempo che Adamo visse
fu di novecentotrent'anni; poi morì. Set visse centocinque anni e generò
Enos. Set, dopo aver generato Enos, visse ottocentosette anni, e generò
figli e figlie. Tutto il tempo che Set visse fu di novecentododici anni; poi
morì. Enos visse novant'anni e generò Chenan. Enos, dopo aver generato
Chenan, visse ottocentoquindici anni e generò figli e figlie. Tutto il tempo
che Enos visse fu di novecentocinque anni; poi morì. Chenan visse
settant'anni e generò Maalaleel. E Chenan, dopo aver generato Maalaleel,
visse ottocentoquarant'anni e generò figli e figlie. Tutto il tempo che
Chenan visse fu di novecentodieci anni; poi morì. Maalaleel visse
sessantacinque anni e generò Iared. E Maalaleel, dopo aver generato Iared,
visse ottocentotrent'anni e generò figli e figlie. Tutto il tempo che
Maalaleel visse fu di ottocentonovantacinque anni; poi morì. E Iared visse
centosessantadue anni, e generò Enoc. Iared, dopo aver generato Enoc, visse
ottocento anni e generò figli e figlie; tutto il tempo che Iared visse fu di
novecentosessantadue anni; poi morì. Enoc visse sessantacinque anni e generò
Metusela. Enoc, dopo aver generato Metusela, camminò con Dio trecento anni e
generò figli e figlie. Tutto il tempo che Enoc visse fu di
trecentosessantacinque anni. Enoc camminò con Dio; poi scomparve, perché Dio
lo prese. Metusela visse centottantasette anni e generò Lamec. E Metusela,
dopo aver generato Lamec, visse settecentottantadue anni e generò figli e
figlie. Tutto il tempo che Metusela visse fu di novecentosessantanove anni;
poi morì. Lamec visse centottantadue anni e generò un figlio, che chiamò
Noè, dicendo: «Questo ci consolerà della nostra opera e della fatica delle
nostre mani a causa del suolo che il SIGNORE ha maledetto». Lamec, dopo aver
generato Noè, visse cinquecentonovantacinque anni e generò figli e figlie.
Tutto il tempo che Lamec visse fu di settecentosettantasette anni; poi morì.
Noè, all'età di cinquecento anni, generò Sem, Cam e Iafet.
CAPITOLO 6
Corruzione del genere umano
(Es 34:15-16; 2Co 6:14-18)(Sl 14:1-4; Ro 3:10-18)
Quando gli uomini cominciarono a moltiplicarsi sulla faccia della terra e
furono loro nate delle figlie, avvenne che i figli di Dio videro che le
figlie degli uomini erano belle e presero per mogli quelle che si scelsero
fra tutte. Il SIGNORE disse: «Lo Spirito mio non contenderà per sempre con
l'uomo poiché, nel suo traviamento, egli non è che carne; i suoi giorni
dureranno quindi centoventi anni». In quel tempo c'erano sulla terra i
giganti, e ci furono anche in seguito, quando i figli di Dio si unirono alle
figlie degli uomini, ed ebbero da loro dei figli. Questi sono gli uomini
potenti che, fin dai tempi antichi, sono stati famosi. Il SIGNORE vide che
la malvagità degli uomini era grande sulla terra e che il loro cuore
concepiva soltanto disegni malvagi in ogni tempo. Il SIGNORE si pentì d'aver
fatto l'uomo sulla terra, e se ne addolorò in cuor suo. E il SIGNORE disse:
«Io sterminerò dalla faccia della terra l'uomo che ho creato: dall'uomo al
bestiame, ai rettili, agli uccelli dei cieli; perché mi pento di averli
fatti». Ma Noè trovò grazia agli occhi del SIGNORE. Questa è la posterità di
Noè. Noè fu uomo giusto, integro, ai suoi tempi; Noè camminò con Dio. Noè
generò tre figli: Sem, Cam e Iafet.
Costruzione dell'arca
(Eb 11:7; 1P 3:19-20)(Gb 22:15-17; Os 4:1-3)
Or la terra era corrotta davanti a Dio; la terra era piena di violenza. Dio
guardò la terra; ed ecco, era corrotta, poiché tutti erano diventati
corrotti sulla terra. Allora Dio disse a Noè: «Nei miei decreti, la fine di
ogni essere vivente è giunta poiché la terra, a causa degli uomini, è piena
di violenza; ecco, io li distruggerò, insieme con la terra. Fatti un'arca di
legno di gofer; falla a stanze, e spalmala di pece di dentro e di fuori.
Ecco come la dovrai fare: la lunghezza dell'arca sarà di trecento cubiti, la
larghezza di cinquanta cubiti e l'altezza di trenta cubiti. Farai all'arca
una finestra, in alto, e le darai la dimensione d'un cubito; metterai la
porta da un lato, e farai l'arca a tre piani: uno da basso, un secondo e un
terzo piano. Ecco, io sto per far venire il diluvio delle acque sulla terra,
per distruggere sotto il cielo ogni essere in cui è alito di vita; tutto
quello che è sulla terra perirà. Ma io stabilirò il mio patto con te; tu
entrerai nell'arca: tu e i tuoi figli, tua moglie e le mogli dei tuoi figli
con te. Di tutto ciò che vive, di ogni essere vivente, fanne entrare
nell'arca due di ogni specie, per conservarli in vita con te; e siano
maschio e femmina. Degli uccelli secondo le loro specie, del bestiame
secondo le sue specie e di tutti i rettili della terra secondo le loro
specie, due di ogni specie verranno a te, perché tu li conservi in vita. Tu
prenditi ogni sorta di cibo che si mangia e fattene provvista, perché serva
di nutrimento a te e a loro». Noè fece così; fece tutto quello che Dio gli
aveva comandato.
Ge 6:8-22; Mt 24:37-39
Il SIGNORE disse a Noè: «Entra nell'arca tu con tutta la tua famiglia,
perché ho visto che sei giusto davanti a me, in questa generazione. Di ogni
specie di animali puri prendine sette paia, maschio e femmina; e degli
animali impuri un paio, maschio e femmina. Anche degli uccelli del cielo
prendine sette paia, maschio e femmina, per conservarne in vita la razza
sulla faccia di tutta la terra; poiché di qui a sette giorni farò piovere
sulla terra per quaranta giorni e quaranta notti: sterminerò dalla faccia
della terra tutti gli esseri viventi che ho fatto». Noè fece tutto quello
che il SIGNORE gli aveva comandato. Noè aveva seicento anni quando il
diluvio delle acque inondò la terra. Noè, con i suoi figli, con sua moglie e
con le mogli dei suoi figli, entrò nell'arca per scampare alle acque del
diluvio. Degli animali puri e degli animali impuri, degli uccelli e di tutto
quello che striscia sulla terra, vennero delle coppie, maschio e femmina, a
Noè nell'arca, come Dio aveva comandato a Noè.
Pr 29:1; Gb 22:15-18; 2P 2:5-9; 3:3-12
Trascorsi i sette giorni, le acque del diluvio vennero sulla terra. Il
seicentesimo anno della vita di Noè, il secondo mese, il diciassettesimo
giorno del mese, in quel giorno tutte le fonti del grande abisso eruppero e
le cateratte del cielo si aprirono. Piovve sulla terra quaranta giorni e
quaranta notti. In quello stesso giorno Noè, Sem, Cam e Iafet, figli di Noè,
la moglie di Noè e le tre mogli dei suoi figli entrarono con loro nell'arca:
essi e tutti gli animali secondo le loro specie, tutto il bestiame secondo
le sue specie, tutti i rettili che strisciano sulla terra secondo le loro
specie, e tutti gli uccelli secondo le loro specie, tutti gli uccelletti,
tutti gli esseri alati. Di ogni essere vivente in cui è alito di vita venne
una coppia a Noè nell'arca; venivano maschio e femmina d'ogni specie, come
Dio aveva comandato a Noè; poi il SIGNORE chiuse. Il diluvio venne sopra la
terra per quaranta giorni, e le acque crebbero e sollevarono l'arca, che fu
elevata in alto al di sopra della terra. E le acque ingrossarono e crebbero
grandemente sopra la terra, e l'arca galleggiava sulla superficie delle
acque. Le acque ingrossarono oltremodo sopra la terra; tutte le alte
montagne che erano sotto tutti i cieli furono coperte. Le acque salirono
quindici cubiti al di sopra delle vette dei monti; le montagne furono
coperte. Perì ogni essere vivente che si moveva sulla terra: uccelli,
bestiame, animali selvatici, rettili di ogni sorta striscianti sulla terra e
tutti gli uomini. Tutto quello che era sulla terra asciutta e aveva alito di
vita nelle sue narici, morì. Tutti gli esseri che erano sulla faccia della
terra furono sterminati: dall'uomo fino al bestiame, ai rettili, e agli
uccelli del cielo; furono sterminati sulla terra; solo Noè scampò con quelli
che erano con lui nell'arca. E le acque rimasero alte sopra la terra per
centocinquanta giorni.
CAPITOLO 8
Fine del diluvio. Noè esce dall'arca
Sl 104:5-9; Is 54:9
Poi Dio si ricordò di Noè, di tutti gli animali e di tutto il bestiame che
era con lui nell'arca; e Dio fece passare un vento sulla terra e le acque si
calmarono; le fonti dell'abisso e le cateratte del cielo furono chiuse, e
cessò la pioggia dal cielo; le acque andarono via via ritirandosi di sulla
terra, e alla fine di centocinquanta giorni cominciarono a diminuire. Nel
settimo mese, il diciassettesimo giorno del mese, l'arca si fermò sulle
montagne dell'Ararat. Le acque andarono diminuendo fino al decimo mese. Nel
decimo mese, il primo giorno del mese, apparvero le vette dei monti. Dopo
quaranta giorni, Noè aprì la finestra che aveva fatta nell'arca e mandò
fuori il corvo, il quale uscì, andando e tornando, finché le acque furono
prosciugate sulla terra. Poi mandò fuori la colomba per vedere se le acque
fossero diminuite sulla superficie della terra. La colomba non trovò dove
posare la pianta del suo piede e tornò a lui nell'arca, perché c'erano le
acque sulla superficie di tutta la terra; ed egli stese la mano, la prese e
la portò con sé dentro l'arca. Aspettò altri sette giorni, poi mandò di
nuovo la colomba fuori dell'arca. E la colomba tornò da lui verso sera; ed
ecco, aveva nel becco una foglia fresca d'ulivo. Così Noè capì che le acque
erano diminuite sopra la terra. Aspettò altri sette giorni, poi mandò fuori
la colomba; ma essa non tornò più da lui. L'anno seicentouno della vita di
Noè, il primo mese, il primo giorno del mese, le acque erano asciugate sulla
terra e Noè scoperchiò l'arca, guardò, ed ecco che la superficie del suolo
era asciutta. Il secondo mese, il ventisettesimo giorno del mese, la terra
era asciutta.
Ge 9:8-17; Is 54:9-10
Dio parlò allora a Noè dicendo: «Esci dall'arca tu, tua moglie, i tuoi figli
e le mogli dei tuoi figli con te. Tutti gli animali che sono con te, di ogni
specie, volatili, bestiame e tutti i rettili che strisciano sulla terra,
falli uscire con te, perché possano disseminarsi sulla terra, siano fecondi
e si moltiplichino su di essa». Noè uscì con i suoi figli, con sua moglie e
con le mogli dei suoi figli. Tutti gli animali, tutti i rettili, tutti gli
uccelli, tutto quello che si muove sulla terra, secondo le loro famiglie,
uscirono dall'arca. Noè costruì un altare al SIGNORE; prese animali puri di
ogni specie e uccelli puri di ogni specie e offrì olocausti sull'altare. Il
SIGNORE sentì un odore soave; e il SIGNORE disse in cuor suo: «Io non
maledirò più la terra a motivo dell'uomo, poiché il cuore dell'uomo
concepisce disegni malvagi fin dall'adolescenza; non colpirò più ogni essere
vivente come ho fatto. Finché la terra durerà, semina e raccolta, freddo e
caldo, estate e inverno, giorno e notte, non cesseranno mai».
Ge 1:26-29 (Es 21:12-14, 28; Nu 35:18-21, 31-33)
Dio benedisse Noè e i suoi figli, e disse loro: «Crescete, moltiplicatevi e
riempite la terra. Avranno timore e spavento di voi tutti gli animali della
terra e tutti gli uccelli del cielo. Essi sono dati in vostro potere con
tutto ciò che striscia sulla terra e con tutti i pesci del mare. Tutto ciò
che si muove e ha vita vi servirà di cibo; io vi do tutto questo, come
l'erba verde; ma non mangerete carne con la sua vita, cioè con il suo
sangue. Certo, io chiederò conto del vostro sangue, del sangue delle vostre
vite; ne chiederò conto a ogni animale; chiederò conto della vita dell'uomo
alla mano dell'uomo, alla mano di ogni suo fratello. Il sangue di chiunque
spargerà il sangue dell'uomo sarà sparso dall'uomo, perché Dio ha fatto
l'uomo a sua immagine. Voi dunque crescete e moltiplicatevi; spandetevi
sulla terra e moltiplicatevi in essa».
(Ge 8:20-22; Is 54:9-10; Gr 33:20) 2P 3:6-7
Poi Dio parlò a Noè e ai suoi figli con lui dicendo: «Quanto a me, ecco,
stabilisco il mio patto con voi, con i vostri discendenti dopo di voi e con
tutti gli esseri viventi che sono con voi: uccelli, bestiame e tutti gli
animali della terra con voi; da tutti quelli che sono usciti dall'arca, a
tutti gli animali della terra. Io stabilisco il mio patto con voi; nessun
essere vivente sarà più sterminato dalle acque del diluvio e non ci sarà più
diluvio per distruggere la terra». Dio disse: «Ecco il segno del patto che
io faccio tra me e voi e tutti gli esseri viventi che sono con voi, per
tutte le generazioni future. Io pongo il mio arco nella nuvola e servirà di
segno del patto fra me e la terra. Avverrà che quando avrò raccolto delle
nuvole al di sopra della terra, l'arco apparirà nelle nuvole; io mi
ricorderò del mio patto fra me e voi e ogni essere vivente di ogni specie, e
le acque non diventeranno più un diluvio per distruggere ogni essere
vivente. L'arco dunque sarà nelle nuvole e io lo guarderò per ricordarmi del
patto perpetuo fra Dio e ogni essere vivente, di qualunque specie che è
sulla terra». Dio disse a Noè: «Questo è il segno del patto che io ho
stabilito fra me e ogni essere vivente che è sulla terra».
(Pr 20:1; Ef 5:18)(Es 20:12; De 27:16)
I figli di Noè che uscirono dall'arca erano Sem, Cam e Iafet; e Cam è il
padre di Canaan. Questi sono i tre figli di Noè; da loro fu popolata tutta
la terra. Noè, che era agricoltore, cominciò a piantare la vigna e bevve del
vino; s'inebriò e si denudò in mezzo alla sua tenda. Cam, padre di Canaan,
vide la nudità di suo padre e andò a dirlo, fuori, ai suoi fratelli. Ma Sem
e Iafet presero il suo mantello, se lo misero insieme sulle spalle e,
camminando all'indietro, coprirono la nudità del loro padre. Siccome avevano
il viso rivolto dalla parte opposta, non videro la nudità del loro padre.
Quando Noè si svegliò dalla sua ebbrezza, seppe quello che gli aveva fatto
il figlio minore e disse: «Maledetto Canaan! Sia servo dei servi dei suoi
fratelli!» Disse ancora: «Benedetto sia il SIGNORE, Dio di Sem; e sia Canaan
suo servo! Dio estenda Iafet! e abiti nelle tende di Sem e sia Canaan suo
servo!» Noè visse, dopo il diluvio, trecentocinquant'anni. L'intera vita di
Noè fu di novecentocinquant'anni; poi morì.
CAPITOLO 10
Discendenza dei figli di Noè
1Cr 1:4-7; Ge 9:27
Questa è la discendenza dei figli di Noè: Sem, Cam e Iafet; a loro nacquero
dei figli, dopo il diluvio. I figli di Iafet furono: Gomer, Magog, Madai,
Iavan, Tubal, Mesec e Tiras. I figli di Gomer furono: Aschenaz, Rifat e
Togarma. I figli di Iavan furono: Elisa, Tarsis, Chittim e Dodanim. Da
costoro derivarono i popoli sparsi nelle isole delle nazioni, nei loro
diversi paesi, ciascuno secondo la propria lingua, secondo le loro famiglie,
nelle loro nazioni.
1Cr 1:8-16; Ge 9:22-25
I figli di Cam furono: Cus, Misraim, Put e Canaan. I figli di Cus furono:
Seba, Avila, Sabta, Raama e Sabteca; i figli di Raama: Seba e Dedan. Cus
generò Nimrod, che cominciò a essere potente sulla terra. Egli fu un potente
cacciatore davanti al SIGNORE; perciò si dice: «Come Nimrod, potente
cacciatore davanti al SIGNORE». Il principio del suo regno fu Babel, Erec,
Accad e Calne nel paese di Scinear. Da quel paese andò in Assiria e costruì
Ninive, Recobot-Ir e Cala; e tra Ninive e Cala, Resen, la grande città.
Misraim generò i Ludim, gli Anamim, i Leabim, i Naftuim, i Patrusim, i
Casluim (da dove uscirono i Filistei) e i Caftorim. Canaan generò Sidon, suo
primogenito, e Chet, e i Gebusei, gli Amorei, i Ghirgasei, gli Ivvei, gli
Archei, i Sinei, gli Arvadei, i Semarei e i Camatei. Poi le famiglie dei
Cananei si sparsero. I confini dei Cananei andarono da Sidon, in direzione
di Gherar, fino a Gaza e in direzione di Sodoma, Gomorra, Adma e Seboim fino
a Lesa. Questi sono i figli di Cam, secondo le loro famiglie, secondo le
loro lingue, nei loro paesi, nelle loro nazioni.
1Cr 1:17-27; Ge 9:26; 11:10-32
Anche a Sem, padre di tutti i figli di Eber e fratello maggiore di Iafet,
nacquero dei figli. I figli di Sem furono: Elam, Assur, Arpacsad, Lud e
Aram. I figli di Aram furono: Uz, Ul, Gheter e Mas. Arpacsad generò Sela, e
Sela generò Eber. A Eber nacquero due figli; il nome dell'uno fu Peleg,
perché ai suoi giorni la terra fu spartita; e il nome di suo fratello fu
Ioctan. Ioctan generò Almodad, Selef, Asarmavet, Iera, Adoram, Uzal, Dicla,
Obal, Abimael, Seba, Ofir, Avila e Iobab. Tutti questi furono figli di
Ioctan. La loro dimora era sulla montagna orientale, da Mesa in direzione di
Sefar. Questi sono i figli di Sem, secondo le loro famiglie, secondo le loro
lingue, nei loro paesi, secondo le loro nazioni. Queste sono le famiglie dei
figli di Noè, secondo le loro generazioni, nelle loro nazioni; da essi
uscirono le nazioni che si sparsero sulla terra dopo il diluvio.
(Sl 33:10-11; Lu 1:51)(De 32:8; At 17:26) At 2:1-11
Tutta la terra parlava la stessa lingua e usava le stesse parole.
Dirigendosi verso l'Oriente, gli uomini capitarono in una pianura nel paese
di Scinear, e là si stanziarono. Si dissero l'un l'altro: «Venite, facciamo
dei mattoni cotti con il fuoco!» Essi adoperarono mattoni anziché pietre, e
bitume invece di calce. Poi dissero: «Venite, costruiamoci una città e una
torre la cui cima giunga fino al cielo; acquistiamoci fama, affinché non
siamo dispersi sulla faccia di tutta la terra». Il SIGNORE discese per
vedere la città e la torre che i figli degli uomini costruivano. Il SIGNORE
disse: «Ecco, essi sono un solo popolo e hanno tutti una lingua sola; questo
è il principio del loro lavoro; ora nulla impedirà loro di condurre a
termine ciò che intendono fare. Scendiamo dunque e confondiamo il loro
linguaggio, perché l'uno non capisca la lingua dell'altro!» Così il SIGNORE
li disperse di là su tutta la faccia della terra ed essi cessarono di
costruire la città. Perciò a questa fu dato il nome di Babel, perché là il
SIGNORE confuse la lingua di tutta la terra e di là li disperse su tutta la
faccia della terra.
Gli antenati del popolo d'Israele, da Abraamo fino a Giuseppe
11:10-50:26 (Is 51:1-2; Eb 11:13-16, 39-40)
La genealogia d'Abraamo
1Cr 1:17-27; Lu 3:34-36
Questa è la discendenza di Sem. Sem, all'età di cento anni, generò Arpacsad,
due anni dopo il diluvio. Sem, dopo aver generato Arpacsad, visse
cinquecento anni e generò figli e figlie. Arpacsad visse trentacinque anni e
generò Sela; Arpacsad, dopo aver generato Sela, visse quattrocentotrè anni e
generò figli e figlie. Sela visse trent'anni e generò Eber; Sela, dopo aver
generato Eber, visse quattrocentotré anni e generò figli e figlie. Eber
visse trentaquattro anni e generò Peleg; Eber, dopo aver generato Peleg,
visse quattrocentotrent'anni e generò figli e figlie. Peleg visse trent'anni
e generò Reu; Peleg, dopo aver generato Reu, visse duecentonove anni e
generò figli e figlie. Reu visse trentadue anni e generò Serug; Reu, dopo
aver generato Serug, visse duecentosette anni e generò figli e figlie. Serug
visse trent'anni e generò Naor; Serug, dopo aver generato Naor, visse
duecento anni e generò figli e figlie. Naor visse ventinove anni e generò
Tera; Naor, dopo aver generato Tera, visse centodiciannove anni e generò
figli e figlie. Tera visse settant'anni e generò Abramo, Naor e Aran. Questa
è la discendenza di Tera. Tera generò Abramo, Naor e Aran; Aran generò Lot.
Aran morì in presenza di Tera, suo padre, nel suo paese natale in Ur dei
Caldei. Abramo e Naor si presero delle mogli; il nome della moglie d'Abramo
era Sarai; e il nome della moglie di Naor, Milca, che era figlia di Aran,
padre di Milca e padre di Isca. Sarai era sterile; non aveva figli. Tera
prese Abramo, suo figlio, e Lot, figlio di Aran, cioè figlio di suo figlio,
e Sarai sua nuora, moglie d'Abramo suo figlio, e uscì con loro da Ur dei
Caldei per andare nel paese di Canaan. Essi giunsero fino a Caran, e là
soggiornarono. Il tempo che Tera visse fu duecentocinque anni; poi Tera morì
in Caran.
CAPITOLO 12
Vocazione di Abramo. Abramo in Canaan
Ge 11:31-32; At 7:2-5; Eb 11:8-9
Il SIGNORE disse ad Abramo: «Va' via dal tuo paese, dai tuoi parenti e dalla
casa di tuo padre, e va' nel paese che io ti mostrerò; io farò di te una
grande nazione, ti benedirò e renderò grande il tuo nome e tu sarai fonte di
benedizione. Benedirò quelli che ti benediranno e maledirò chi ti maledirà,
e in te saranno benedette tutte le famiglie della terra». Abramo partì, come
il SIGNORE gli aveva detto, e Lot andò con lui. Abramo aveva settantacinque
anni quando partì da Caran. Abramo prese Sarai sua moglie e Lot, figlio di
suo fratello, e tutti i beni che possedevano e le persone che avevano
acquistate in Caran, e partirono verso il paese di Canaan. Giunsero così
nella terra di Canaan, e Abramo attraversò il paese fino alla località di
Sichem, fino alla quercia di More. In quel tempo i Cananei erano nel paese.
Il SIGNORE apparve ad Abramo e disse: «Io darò questo paese alla tua
discendenza». Lì Abramo costruì un altare al SIGNORE che gli era apparso. Di
là si spostò verso la montagna a oriente di Betel, e piantò le sue tende,
avendo Betel a occidente e Ai ad oriente; lì costruì un altare al SIGNORE e
invocò il nome del SIGNORE. Poi Abramo partì, proseguendo da un accampamento
all'altro, verso la regione meridionale.
Abramo in Egitto
Ge 20; 26:1-11; Sl 105:13-15
Venne una carestia nel paese e Abramo scese in Egitto per soggiornarvi,
perché la fame era grande nel paese. Come stava per entrare in Egitto, disse
a Sarai sua moglie: «Ecco, io so che tu sei una donna di bell'aspetto;
quando gli Egiziani ti vedranno, diranno: "È sua moglie". Essi mi
uccideranno, ma a te lasceranno la vita. Di' dunque che sei mia sorella,
perché io sia trattato bene a motivo di te e la vita mi sia conservata per
amor tuo». Quando Abramo giunse in Egitto, gli Egiziani osservarono che la
donna era molto bella. I prìncipi del faraone la videro, ne fecero le lodi
in presenza del faraone; e la donna fu condotta in casa del faraone. Questi
fece del bene ad Abramo per amore di lei e Abramo ebbe pecore, buoi, asini,
servi, serve, asine e cammelli. Ma il SIGNORE colpì il faraone e la sua casa
con grandi piaghe, a motivo di Sarai, moglie d'Abramo. Allora il faraone
chiamò Abramo e disse: «Che cosa mi hai fatto? Perché non m'hai detto che
era tua moglie? Perché hai detto: "È mia sorella"? Così io l'ho presa per
moglie. Ora eccoti tua moglie, prendila e vattene!» E il faraone diede alla
sua gente ordini relativi ad Abramo, ed essi fecero partire lui, sua moglie
e tutto quello che egli possedeva.
CAPITOLO 1
Ritorno in Canaan; Abramo e Lot si separano
Sl 112:1-3 (Mt 5:9; Gm 3:17-18) Lu 12:15
Abramo dunque risalì dall'Egitto con sua moglie, con tutto quel che
possedeva e con Lot, andando verso la regione meridionale. Abramo era molto
ricco di bestiame, d'argento e d'oro. E continuò il suo viaggio dal
meridione fino a Betel, al luogo dove da principio era stata la sua tenda,
fra Betel e Ai, al luogo dov'era l'altare che egli aveva fatto prima; e lì
Abramo invocò il nome del SIGNORE. Ora Lot, che viaggiava con Abramo, aveva
anch'egli pecore, buoi e tende. Il paese non era sufficiente perché essi
potessero abitarvi insieme, poiché il loro bestiame era numeroso ed essi non
potevano stare insieme. Scoppiò una lite fra i pastori del bestiame d'Abramo
e i pastori del bestiame di Lot. I Cananei e i Ferezei abitavano a quel
tempo nel paese. Allora Abramo disse a Lot: «Ti prego, non ci sia discordia
tra me e te, né tra i miei pastori e i tuoi pastori, perché siamo fratelli!
Tutto il paese non sta forse davanti a te? Ti prego, sepàrati da me! Se tu
vai a sinistra, io andrò a destra; se tu vai a destra, io andrò a sinistra».
Lot alzò gli occhi e vide l'intera pianura del Giordano. Prima che il
SIGNORE avesse distrutto Sodoma e Gomorra, essa era tutta irrigata fino a
Soar, come il giardino del SIGNORE, come il paese d'Egitto. Lot scelse per
sé tutta la pianura del Giordano e partì andando verso oriente. Così si
separarono l'uno dall'altro. Abramo si stabilì nel paese di Canaan, Lot
abitò nelle città della pianura e andò piantando le sue tende fino a Sodoma.
Gli abitanti di Sodoma erano perversi e grandi peccatori contro il SIGNORE.
Promesse ad Abramo
Ge 15:18-21; 17:1-8; Mt 5:5
Il SIGNORE disse ad Abramo, dopo che Lot si fu separato da lui: «Alza ora
gli occhi e guarda, dal luogo dove sei, a settentrione, a meridione, a
oriente, a occidente. Tutto il paese che vedi lo darò a te e alla tua
discendenza, per sempre. E renderò la tua discendenza come la polvere della
terra; in modo che, se qualcuno può contare la polvere della terra, potrà
contare anche i tuoi discendenti. Àlzati, percorri il paese quant'è lungo e
quant'è largo, perché io lo darò a te». Allora Abramo levò le sue tende e
andò ad abitare alle querce di Mamre, che sono a Ebron, e qui costruì un
altare al SIGNORE.
CAPITOLO 14
Abramo vince parecchi re
1S 30; Gr 41:11, ecc.
Avvenne al tempo di Amrafel re di Scinear, di Arioc re di Ellasar, di
Chedorlaomer re di Elam e di Tideal re dei Goim, che essi mossero guerra a
Bera re di Sodoma, a Birsa re di Gomorra, a Sineab re di Adma, a Semeber re
di Seboim e al re di Bela, cioè Soar. Tutti questi ultimi si radunarono
nella valle di Siddim, che è il Mar salato. Per dodici anni erano stati
soggetti a Chedorlaomer; e al tredicesimo anno si erano ribellati. Nell'anno
quattordicesimo, Chedorlaomer e i re che erano con lui vennero e sconfissero
i Refei ad Asterot-Carnaim, gli Zuzei ad Am, gli Emei nella pianura di
Chiriataim, e i Chorei nella loro montagna di Seir fino a El-Paran, che è
presso il deserto. Poi tornarono indietro e vennero a En-Mispat, cioè Cades,
e sconfissero gli Amalechiti su tutto il loro territorio, e così pure gli
Amorei che abitavano ad Asason-Tamar. Allora il re di Sodoma, il re di
Gomorra, il re di Adma, il re di Seboim e il re di Bela, cioè Soar, uscirono
e si schierarono in battaglia contro quelli, nella valle di Siddim: contro
Chedorlaomer re di Elam, Tideal re dei Goim, Amrafel re di Scinear e Arioc
re di Ellasar: quattro re contro cinque. La valle di Siddim era piena di
pozzi di bitume; i re di Sodoma e di Gomorra si diedero alla fuga e vi
caddero dentro; quelli che scamparono fuggirono al monte. I vincitori
presero tutte le ricchezze di Sodoma e di Gomorra, tutti i loro viveri e se
ne andarono. Andandosene presero anche Lot, figlio del fratello di Abramo,
con i suoi beni: Lot abitava infatti a Sodoma. Ma uno degli scampati venne a
informare Abramo, l'Ebreo, che abitava alle querce di Mamre, l'Amoreo,
fratello di Escol e fratello di Aner, i quali avevano fatto alleanza con
Abramo. Abramo, com'ebbe udito che suo fratello era stato fatto prigioniero,
armò trecentodiciotto dei suoi più fidati servi, nati in casa sua, e inseguì
i re fino a Dan. Divisa la sua schiera per assalirli di notte, egli con i
suoi servi li sconfisse e li inseguì fino a Coba, che è a sinistra di
Damasco. Recuperò così tutti i beni e ricondusse pure Lot suo fratello, con
i suoi beni, e anche le donne e il popolo.
Abramo benedetto da Melchisedec
Eb 7; Sl 110:4
Com'egli se ne tornava, dopo aver sconfitto Chedorlaomer e i re che erano
con lui, il re di Sodoma gli andò incontro nella valle di Sciave, cioè la
valle del re. Melchisedec, re di Salem, fece portare del pane e del vino.
Egli era sacerdote del Dio altissimo. Egli benedisse Abramo, dicendo:
«Benedetto sia Abramo dal Dio altissimo, padrone dei cieli e della terra!
Benedetto sia il Dio altissimo, che t'ha dato in mano i tuoi nemici!» E
Abramo gli diede la decima di ogni cosa. Il re di Sodoma disse ad Abramo:
«Dammi le persone; i beni prendili per te». Ma Abramo rispose al re di
Sodoma: «Ho alzato la mia mano al SIGNORE, il Dio altissimo, padrone dei
cieli e della terra, giurando che non avrei preso neppure un filo, né un
laccio di sandalo, di tutto ciò che ti appartiene; perché tu non abbia a
dire: "Io ho arricchito Abramo". Nulla per me! Tranne quello che hanno
mangiato i giovani e la parte che spetta agli uomini che sono venuti con me:
Aner, Escol e Mamre; essi prendano la loro parte».
CAPITOLO 15
Promesse rinnovate ad Abramo
Ro 4; Ga 3:6-9
Dopo questi fatti, la parola del SIGNORE fu rivolta in visione ad Abramo,
dicendo: «Non temere, Abramo, io sono il tuo scudo, e la tua ricompensa sarà
grandissima». Abramo disse: «Dio, SIGNORE, che mi darai? Poiché io me ne
vado senza figli e l'erede della mia casa è Eliezer di Damasco». E Abramo
soggiunse: «Tu non mi hai dato discendenza; ecco, uno schiavo nato in casa
mia sarà mio erede». Allora la parola del SIGNORE gli fu rivolta, dicendo:
«Questi non sarà tuo erede; ma colui che nascerà da te sarà tuo erede». Poi
lo condusse fuori e gli disse: «Guarda il cielo e conta le stelle se le puoi
contare». E soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al
SIGNORE, che gli contò questo come giustizia.
Ne 9:7-8; At 7:2-7
Il SIGNORE gli disse ancora: «Io sono il SIGNORE che ti ho fatto uscire da
Ur dei Caldei per darti questo paese, perché tu lo possegga». Abramo chiese:
«Dio, SIGNORE, da che cosa posso conoscere che ne avrò il possesso?» Il
SIGNORE gli rispose: «Prendimi una giovenca di tre anni, una capra di tre
anni, un montone di tre anni, una tortora e un piccione». Egli prese tutti
questi animali, li divise nel mezzo e pose ciascuna metà di fronte
all'altra; ma non divise gli uccelli. Or degli uccelli rapaci calarono sulle
bestie morte, ma Abramo li scacciò. Al tramonto del sole, un profondo sonno
cadde su Abramo; ed ecco uno spavento, una oscurità profonda cadde su di
lui. Il SIGNORE disse ad Abramo: «Sappi per certo che i tuoi discendenti
dimoreranno come stranieri in un paese che non sarà loro: saranno fatti
schiavi e saranno oppressi per quattrocento anni; ma io giudicherò la
nazione di cui saranno stati servi e, dopo questo, se ne partiranno con
grandi ricchezze. Quanto a te, te ne andrai in pace presso i tuoi padri e
sarai sepolto dopo una prospera vecchiaia. Alla quarta generazione essi
torneranno qua; perché l'iniquità degli Amorei non è giunta finora al
colmo». Or come il sole fu tramontato e venne la notte scura, ecco una
fornace fumante e una fiamma di fuoco passare in mezzo agli animali divisi.
In quel giorno il SIGNORE fece un patto con Abramo, dicendo: «Io do alla tua
discendenza questo paese, dal fiume d'Egitto al gran fiume, il fiume
Eufrate; i Chenei, i Chenizei, i Cadmonei, gli Ittiti, i Ferezei, i Refei,
gli Amorei, i Cananei, i Ghirgasei e i Gebusei.
CAPITOLO 16
Agar. Nascita di Ismaele
Ge 30:1-9; Gb 4:8
Or Sarai, moglie di Abramo, non gli aveva dato figli. Aveva una serva
egiziana di nome Agar. Sarai disse ad Abramo: «Ecco, il SIGNORE mi ha fatta
sterile; ti prego, va' dalla mia serva; forse avrò figli da lei». E Abramo
diede ascolto alla voce di Sarai. Così, dopo dieci anni di residenza
d'Abramo nel paese di Canaan, Sarai, moglie d'Abramo, prese la sua serva
Agar, l'Egiziana, e la diede per moglie ad Abramo suo marito. Egli andò da
Agar, che rimase incinta; e quando si accorse di essere incinta, guardò la
sua padrona con disprezzo. Sarai disse ad Abramo: «L'offesa fatta a me
ricada su di te! Io ti ho dato la mia serva in seno e, da quando si è
accorta d'essere incinta, mi guarda con disprezzo. Il SIGNORE sia giudice
fra me e te». Abramo rispose a Sarai: «Ecco, la tua serva è in tuo potere;
falle ciò che vuoi». Sarai la trattò duramente e quella se ne fuggì da lei.
Ge 21:9-21; Sl 10:14; Mi 7:7-9
L'angelo del SIGNORE la trovò presso una sorgente d'acqua, nel deserto,
presso la sorgente che è sulla via di Sur, e le disse: «Agar, serva di
Sarai, da dove vieni e dove vai?» Lei rispose: «Fuggo dalla presenza di
Sarai mia padrona». L'angelo del SIGNORE le disse: «Torna dalla tua padrona
e umiliati sotto la sua mano». L'angelo del SIGNORE soggiunse: «Io
moltiplicherò grandemente la tua discendenza e non la si potrà contare,
tanto sarà numerosa». L'angelo del SIGNORE le disse ancora: «Ecco, tu sei
incinta e partorirai un figlio a cui metterai il nome di Ismaele, perché il
SIGNORE ti ha udita nella tua afflizione; egli sarà tra gli uomini come un
asino selvatico; la sua mano sarà contro tutti, e la mano di tutti contro di
lui; e abiterà di fronte a tutti i suoi fratelli». Allora Agar diede al
SIGNORE, che le aveva parlato, il nome di Atta-El-Roi, perché disse: «Ho io,
proprio qui, veduto andarsene colui che mi ha vista?» Perciò quel pozzo fu
chiamato il pozzo di Lacai-Roi. Ecco, esso è tra Cades e Bered. Agar partorì
un figlio ad Abramo. Al figlio che Agar gli aveva partorito Abramo mise il
nome d'Ismaele. Abramo aveva ottantasei anni quando Agar gli partorì
Ismaele.
CAPITOLO 17
Dio fa un patto con Abramo
Sl 105:8-11; Ro 4:13
Quando Abramo ebbe novantanove anni, il SIGNORE gli apparve e gli disse: «Io
sono il Dio onnipotente; cammina alla mia presenza e sii integro; e io
stabilirò il mio patto fra me e te e ti moltiplicherò grandemente». Allora
Abramo si prostrò con la faccia a terra e Dio gli parlò, dicendo: «Quanto a
me, ecco il patto che faccio con te; tu diventerai padre di una moltitudine
di nazioni; non sarai più chiamato Abramo, ma il tuo nome sarà Abraamo,
poiché io ti costituisco padre di una moltitudine di nazioni. Ti farò
moltiplicare grandemente, ti farò divenire nazioni e da te usciranno dei re.
Stabilirò il mio patto fra me e te e i tuoi discendenti dopo di te, di
generazione in generazione; sarà un patto eterno per il quale io sarò il Dio
tuo e della tua discendenza dopo di te. A te e alla tua discendenza dopo di
te darò il paese dove abiti come straniero: tutto il paese di Canaan, in
possesso perenne; e sarò loro Dio».
At 7:8; Ro 4:11-12
Poi Dio disse ad Abraamo: «Quanto a te, tu osserverai il mio patto: tu e la
tua discendenza dopo di te, di generazione in generazione. Questo è il mio
patto che voi osserverete, patto fra me e voi e la tua discendenza dopo di
te: ogni maschio tra di voi sia circonciso. Sarete circoncisi; questo sarà
un segno del patto fra me e voi. All'età di otto giorni, ogni maschio sarà
circonciso tra di voi, di generazione in generazione: tanto quello nato in
casa, quanto quello comprato con denaro da qualunque straniero e che non sia
della tua discendenza. Quello nato in casa tua e quello comprato con denaro
dovrà essere circonciso; il mio patto nella vostra carne sarà un patto
perenne. L'incirconciso, il maschio che non sarà stato circonciso nella
carne del suo prepuzio, sarà tolto via dalla sua gente: egli avrà violato il
mio patto».
Ge 18:9-15; 21:1-7
Dio disse ad Abraamo: «Quanto a Sarai tua moglie, non la chiamare più Sarai;
il suo nome sarà, invece, Sara. Io la benedirò e da lei ti darò anche un
figlio; la benedirò e diventerà nazioni; re di popoli usciranno da lei».
Allora Abraamo si prostrò con la faccia a terra, rise, e disse in cuor suo:
«Nascerà un figlio a un uomo di cent'anni? E Sara partorirà ora che ha
novant'anni?» Abraamo disse a Dio: «Oh, possa almeno Ismaele vivere davanti
a te!» Dio rispose: «No, Sara, tua moglie, ti partorirà un figlio e tu gli
metterai il nome di Isacco. Io stabilirò il mio patto con lui, un patto
eterno per la sua discendenza dopo di lui. Quanto a Ismaele, io ti ho
esaudito. Ecco, io l'ho benedetto e farò in modo che si moltiplichi e si
accresca straordinariamente. Egli genererà dodici principi e io farò di lui
una grande nazione. Ma stabilirò il mio patto con Isacco che Sara ti
partorirà in questa stagione il prossimo anno». Quando ebbe finito di
parlare con lui, Dio lasciò Abraamo, levandosi in alto.
Sl 119:60; Gs 5:2-9
Abraamo prese suo figlio Ismaele, tutti quelli che gli erano nati in casa e
tutti quelli che aveva comprato con il suo denaro, tutti i maschi fra la
gente della casa d'Abraamo, e li circoncise, in quello stesso giorno, come
Dio aveva detto di fare. Abraamo aveva novantanove anni quando fu
circonciso. Suo figlio Ismaele aveva tredici anni quando fu circonciso. In
quel medesimo giorno fu circonciso Abraamo e Ismaele suo figlio. Tutti gli
uomini della sua casa, tanto quelli nati in casa quanto quelli comprati con
denaro dagli stranieri, furono circoncisi con lui.
CAPITOLO 18
Conferma della nascita d'Isacco
Eb 13:2 (Ge 21:1-7; 2R 4:12-17) Gv 14:23
Il SIGNORE apparve ad Abraamo alle querce di Mamre, mentre egli sedeva
all'ingresso della sua tenda nell'ora più calda del giorno. Abraamo alzò gli
occhi e vide che tre uomini stavano davanti a lui. Come li ebbe visti, corse
loro incontro dall'ingresso della tenda, si prostrò fino a terra e disse:
«Ti prego, mio Signore, se ho trovato grazia ai tuoi occhi, non passar oltre
senza fermarti dal tuo servo! Lasciate che si porti un po' d'acqua, lavatevi
i piedi e riposatevi sotto quest'albero. Io andrò a prendere del pane e vi
ristorerete; poi continuerete il vostro cammino; poiché è per questo che
siete passati dal vostro servo». Quelli dissero: «Fa' pure come hai detto».
Allora Abraamo andò in fretta nella tenda da Sara e le disse: «Prendi subito
tre misure di fior di farina, impastala e fa' delle focacce». Poi Abraamo
corse alla mandria, prese un vitello tenero e buono e lo diede a un suo
servo, il quale si affrettò a prepararlo. Prese del burro, del latte e il
vitello che era stato preparato, e li pose davanti a loro. Egli se ne stette
in piedi presso di loro, sotto l'albero, e quelli mangiarono. Poi essi gli
dissero: «Dov'è Sara, tua moglie?» Ed egli rispose: «È là nella tenda». E
l'altro: «Tornerò certamente da te fra un anno; allora Sara, tua moglie,
avrà un figlio». Sara intanto stava ad ascoltare all'ingresso della tenda,
che era dietro di lui. Abraamo e Sara erano vecchi, ben avanti negli anni, e
Sara non aveva più i corsi ordinari delle donne. Sara rise dentro di sé,
dicendo: «Vecchia come sono, dovrei avere tali piaceri? Anche il mio signore
è vecchio!» Il SIGNORE disse ad Abraamo: «Perché mai ha riso Sara, dicendo:
"Partorirei io per davvero, vecchia come sono?" Vi è forse qualcosa che sia
troppo difficile per il SIGNORE? Al tempo fissato, l'anno prossimo, tornerò
e Sara avrà un figlio». Allora Sara negò, dicendo: «Non ho riso»; perché
ebbe paura. Ma egli disse: «Invece hai riso!»
Intercessione d'Abraamo in favore di Sodoma
Gv 15:15 (Es 32:9-14; Nu 14:11-20) Gm 5:16-18
Poi quegli uomini si alzarono e volsero gli sguardi verso Sodoma; e Abraamo
andò con loro per congedarli. Il SIGNORE disse: «Dovrei forse nascondere ad
Abraamo quanto sto per fare, dato che Abraamo deve diventare una nazione
grande e potente e in lui saranno benedette tutte le nazioni della terra?
Infatti, io l'ho prescelto perché ordini ai suoi figli, e alla sua casa dopo
di lui, che seguano la via del SIGNORE per praticare la giustizia e il
diritto, affinché il SIGNORE compia in favore di Abraamo quello che gli ha
promesso». Il SIGNORE disse: «Siccome il grido che sale da Sodoma e Gomorra
è grande e siccome il loro peccato è molto grave, io scenderò e vedrò se
hanno veramente agito secondo il grido che è giunto fino a me; e, se così
non è, lo saprò». Quegli uomini partirono di là e si avviarono verso Sodoma;
ma Abraamo rimase ancora davanti al SIGNORE. Abraamo gli si avvicinò e
disse: «Farai dunque perire il giusto insieme con l'empio? Forse ci sono
cinquanta giusti nella città; davvero farai perire anche quelli? Non
perdonerai a quel luogo per amore dei cinquanta giusti che vi sono? Non sia
mai che tu faccia una cosa simile! Far morire il giusto con l'empio, in modo
che il giusto sia trattato come l'empio! Non sia mai! Il giudice di tutta la
terra non farà forse giustizia?» Il SIGNORE disse: «Se trovo nella città di
Sodoma cinquanta giusti, perdonerò a tutto il luogo per amor di loro».
Abraamo riprese e disse: «Ecco, prendo l'ardire di parlare al Signore,
benché io non sia che polvere e cenere. Forse, a quei cinquanta giusti ne
mancheranno cinque; distruggerai tutta la città per cinque di meno?» E il
SIGNORE: «Se ve ne trovo quarantacinque, non la distruggerò». Abraamo
continuò a parlargli e disse: «Forse, se ne troveranno quaranta». E il
SIGNORE: «Non lo farò, per amore dei quaranta». Abraamo disse: «Non si adiri
il Signore e io parlerò. Forse, se ne troveranno trenta». E il SIGNORE: «Non
lo farò, se ne trovo trenta». Abraamo disse: «Ecco, prendo l'ardire di
parlare al Signore. Forse, se ne troveranno venti». E il SIGNORE: «Non la
distruggerò per amore di venti». Abraamo disse: «Non si adiri il Signore, e
io parlerò ancora questa volta soltanto. Forse, se ne troveranno dieci». E
il SIGNORE: «Non la distruggerò per amore dei dieci». Quando il SIGNORE ebbe
finito di parlare ad Abraamo, se ne andò. E Abraamo ritornò alla sua
abitazione.
CAPITOLO 19
Distruzione di Sodoma e di Gomorra
(Eb 13:2; Ge 18:1-8)(Ge 18:16-22; Ez 16:49-50) Gc 19
I due angeli giunsero a Sodoma verso sera. Lot stava seduto alla porta di
Sodoma; come li vide, si alzò per andar loro incontro, si prostrò con la
faccia a terra, e disse: «Signori miei, vi prego, venite in casa del vostro
servo, fermatevi questa notte, e lavatevi i piedi; poi domattina vi alzerete
per tempo e continuerete il vostro cammino». Essi risposero: «No, passeremo
la notte sulla piazza». Ma egli fece loro tanta premura, che andarono da lui
ed entrarono in casa sua. Egli preparò per loro un rinfresco, fece cuocere
dei pani senza lievito ed essi mangiarono. Ma prima che si fossero coricati,
gli uomini della città, i Sodomiti, circondarono la casa: giovani e vecchi,
la popolazione intera venuta da ogni lato. Chiamarono Lot e gli dissero:
«Dove sono quegli uomini che sono venuti da te questa notte? Falli uscire,
perché vogliamo abusare di loro». Lot uscì verso di loro sull'ingresso della
casa, si chiuse dietro la porta, e disse: «Vi prego, fratelli miei, non fate
questo male! Ecco, ho due figlie che non hanno conosciuto uomo: lasciate che
io ve le conduca fuori, e voi farete di loro quel che vi piacerà; ma non
fate nulla a questi uomini, perché sono venuti all'ombra del mio tetto».
Essi però gli dissero: «Togliti di mezzo!» E ancora: «Quest'individuo è
venuto qua come straniero e vuol fare il giudice! Ora faremo a te peggio che
a quelli!» E, premendo Lot con violenza, s'avvicinarono per sfondare la
porta. Ma quegli uomini stesero la mano, tirarono Lot in casa con loro e
chiusero la porta. Colpirono di cecità la gente che era alla porta della
casa, dal più piccolo al più grande, così che si stancarono di cercar la
porta.
(Lu 17:28-32; 2P 2:6-9; Gd 7) Mt 11:23-24
Quegli uomini dissero a Lot: «Chi hai ancora qui? Fa' uscire da questo luogo
generi, figli, figlie e chiunque dei tuoi è in questa città, perché noi
distruggeremo questo luogo. Infatti il grido contro i suoi abitanti è grande
davanti al SIGNORE, e il SIGNORE ci ha mandati a distruggerlo». Allora Lot
uscì, parlò ai suoi generi che avevano preso le sue figlie, e disse:
«Alzatevi, uscite da questo luogo, perché il SIGNORE sta per distruggere la
città». Ma ai suoi generi parve che volesse scherzare. Quando l'alba
cominciò ad apparire, gli angeli sollecitarono Lot, dicendo: «Àlzati, prendi
tua moglie e le tue figlie che si trovano qui, perché tu non perisca nel
castigo di questa città». Ma egli indugiava; e quegli uomini presero per la
mano lui, sua moglie e le sue due figlie, perché il SIGNORE lo voleva
risparmiare; lo portarono via, e lo misero fuori della città. Dopo averli
fatti uscire, uno di quegli uomini disse: «Metti la tua vita al sicuro: non
guardare indietro e non ti fermare in alcun luogo della pianura; cerca
scampo sul monte, altrimenti perirai!» Lot rispose loro: «No, mio signore!
Ecco, il tuo servo ha trovato grazia ai tuoi occhi e tu hai mostrato la
grandezza della tua bontà verso di me, conservandomi in vita; ma io non
posso salvarmi sui monti prima che il disastro mi travolga e io muoia. Ecco,
c'è questa città vicina per rifugiarmi - è piccola - e lascia che io fugga
lì - e non è forse piccola? - e così io vivrò». E quello rispose: «Ecco,
anche questa grazia io ti concedo: di non distruggere la città della quale
hai parlato. Affrèttati, rifùgiati là, perché io non posso far nulla finché
tu non vi sia giunto». Perciò quella città fu chiamata Soar. Il sole
spuntava sulla terra quando Lot arrivò a Soar. Allora il SIGNORE fece
piovere dal cielo su Sodoma e Gomorra zolfo e fuoco, da parte del SIGNORE;
egli distrusse quelle città, tutta la pianura, tutti gli abitanti delle
città e quanto cresceva sul suolo. Ma la moglie di Lot si volse a guardare
indietro e diventò una statua di sale. Abraamo si alzò la mattina presto e
andò al luogo dove si era prima fermato davanti al SIGNORE; guardò verso
Sodoma e Gomorra e verso tutta la regione della pianura, ed ecco vide un
fumo che saliva dalla terra, come il fumo di una fornace. Fu così che Dio si
ricordò d'Abraamo, quand'egli distrusse le città della pianura e fece
scampare Lot al disastro, mentre distruggeva le città dove Lot aveva
abitato.
Origini di Moab e di Ammon
De 23:2-3 (Ge 38:11-30; Ro 3:8) 1Co 15:33 (So 2:9)
Lot salì da Soar per andare ad abitar sul monte insieme con le sue due
figlie, perché temeva di stare in Soar; e si stabilì in una caverna, egli
con le sue due figlie. La maggiore disse alla minore: «Nostro padre è
vecchio, e non c'è più nessuno sulla terra per mettersi con noi, come si usa
in tutta la terra. Vieni, diamo da bere del vino a nostro padre, e
corichiamoci con lui, perché possiamo conservare la razza di nostro padre».
Quella stessa notte diedero da bere del vino al loro padre; la maggiore
entrò e si coricò con suo padre; ed egli non si accorse quando lei si coricò
né quando si alzò. Il giorno seguente la maggiore disse alla minore: «Ecco,
la notte passata io mi sono coricata con mio padre; diamogli da bere del
vino anche questa notte e tu entra, coricati con lui, perché possiamo
conservare la razza di nostro padre». E anche quella notte diedero da bere
del vino al loro padre e la minore andò a coricarsi con lui; egli non si
accorse quando lei si coricò né quando si alzò. Così le due figlie di Lot
rimasero incinte del loro padre. La maggiore partorì un figlio, che chiamò
Moab. Questi è il padre dei Moabiti, che esistono fino al giorno d'oggi.
Anche la minore partorì un figlio, che chiamò Ben-Ammi. Questi è il padre
degli Ammoniti, che esistono fino al giorno d'oggi.
(Ge 12:10-20; 26:1-11) Sl 105:12-15
Abraamo partì di là andando verso la regione meridionale, si stabilì fra
Cades e Sur; poi abitò come straniero in Gherar. Abraamo diceva di sua
moglie Sara: «È mia sorella». E Abimelec, re di Gherar, mandò a prendere
Sara. Ma Dio andò di notte, in un sogno; si rivolse ad Abimelec e gli disse:
«Ecco, tu sei morto, a causa della donna che ti sei presa; perché è
sposata». Or Abimelec, che non si era ancora accostato a lei, rispose:
«Signore, faresti perire una nazione, anche se giusta? Egli non mi ha forse
detto: "È mia sorella?" Anche lei ha detto: "Egli è mio fratello". Io ho
fatto questo nella integrità del mio cuore e con mani innocenti». Dio gli
disse nel sogno: «Anch'io so che tu hai fatto questo nella integrità del tuo
cuore: ti ho quindi preservato dal peccare contro di me; perciò non ti ho
permesso di toccarla. Ora, restituisci la moglie a quest'uomo, perché è
profeta, ed egli pregherà per te, e tu vivrai. Ma, se non la restituisci,
sappi che sicuramente morirai, tu e tutti i tuoi». Abimelec si alzò di
mattina presto, chiamò tutti i suoi servi e raccontò in loro presenza tutte
queste cose. E quegli uomini furono presi da grande paura. Poi Abimelec
chiamò Abraamo e gli disse: «Che ci hai fatto? In che cosa ti ho offeso, ché
tu abbia attirato su di me e sul mio regno questo grande peccato? Tu mi hai
fatto cose che non si debbono fare». Di nuovo Abimelec disse ad Abraamo: «A
che miravi facendo questo?» Abraamo rispose: «L'ho fatto, perché dicevo tra
me: "Certo, in questo luogo non c'è timor di Dio e mi uccideranno a causa di
mia moglie". Inoltre, è veramente mia sorella, figlia di mio padre, ma non
figlia di mia madre, ed è diventata mia moglie. Or quando Dio mi fece
emigrare lontano dalla casa di mio padre, io le dissi: "Questo è il favore
che tu mi farai; dovunque giungeremo dirai di me: «È mio fratello»"».
Abimelec prese delle pecore, dei buoi, dei servi e delle serve, e li diede
ad Abraamo, e gli restituì Sara, sua moglie. Abimelec disse: «Ecco, il mio
paese ti sta davanti; va' a stabilirti dove ti piacerà». E a Sara disse:
«Ecco, io ho dato a tuo fratello mille pezzi d'argento; questo sarà per te
come un velo agli occhi davanti a tutti quelli che sono con te, e sarai
riabilitata di fronte a tutti». Abraamo pregò Dio e Dio guarì Abimelec, la
moglie e le serve di lui, ed esse poterono partorire. Infatti, il SIGNORE
aveva reso sterile l'intera casa di Abimelec, a causa di Sara, moglie di
Abraamo.
(Ge 17:15-21; 18:9-15; Eb 11:11-12) Ge 17:9-14
Il SIGNORE visitò Sara come aveva detto; e il SIGNORE fece a Sara come aveva
annunziato. Sara concepì e partorì un figlio ad Abraamo, quando egli era
vecchio, al tempo che Dio gli aveva fissato. Abraamo chiamò Isacco il figlio
che gli era nato, che Sara gli aveva partorito. Abraamo circoncise suo
figlio Isacco all'età di otto giorni, come Dio gli aveva comandato. Abraamo
aveva cent'anni quando gli nacque suo figlio Isacco. Sara disse: «Dio mi ha
dato di che ridere; chiunque l'udrà riderà con me». E aggiunse: «Chi avrebbe
mai detto ad Abraamo che Sara avrebbe allattato figli? Eppure io gli ho
partorito un figlio nella sua vecchiaia». Il bambino dunque crebbe e fu
divezzato. Nel giorno che Isacco fu divezzato, Abraamo fece un grande
banchetto.
Agar nel deserto
(Ro 9:6-9; Ga 4:21-31)(Ge 16; 25:12-18) Sl 146:7-9
Sara vide che il figlio partorito ad Abraamo da Agar, l'Egiziana, rideva;
allora disse ad Abraamo: «Caccia via questa serva e suo figlio; perché il
figlio di questa serva non dev'essere erede con mio figlio, con Isacco». La
cosa dispiacque moltissimo ad Abraamo a motivo di suo figlio. Ma Dio disse
ad Abraamo: «Non addolorarti per il ragazzo, né per la tua serva; acconsenti
a tutto quello che Sara ti dirà, perché da Isacco uscirà la discendenza che
porterà il tuo nome. Anche del figlio di questa serva io farò una nazione,
perché appartiene alla tua discendenza». Abraamo si alzò la mattina di
buon'ora, prese del pane e un otre d'acqua e li diede ad Agar,
mettendoglieli sulle spalle con il bambino, e la mandò via. Lei se ne andò e
vagava per il deserto di Beer-Seba. Quando l'acqua dell'otre finì, lei mise
il bambino sotto un arboscello. E andò a sedersi di fronte, a distanza di un
tiro d'arco, perché diceva: «Che io non veda morire il bambino!» E seduta
così di fronte, alzò la voce e pianse. Dio udì la voce del ragazzo e
l'angelo di Dio chiamò Agar dal cielo e le disse: «Che hai, Agar? Non
temere, perché Dio ha udito la voce del ragazzo là dov'è. Àlzati, prendi il
ragazzo e tienilo per mano, perché io farò di lui una grande nazione». Dio
le aprì gli occhi ed ella vide un pozzo d'acqua e andò, riempì d'acqua
l'otre e diede da bere al ragazzo. Dio fu con il ragazzo; egli crebbe, abitò
nel deserto e divenne un tiratore d'arco. Egli si stabilì nel deserto di
Paran e sua madre gli prese per moglie una donna del paese d'Egitto.
Abraamo a Beer-Seba
Ge 26:1-6, 12-33
In quel tempo Abimelec, accompagnato da Picol, capo del suo esercito, parlò
ad Abraamo, dicendo: «Dio è con te in tutto quello che fai. Giurami dunque
qui, nel nome di Dio, che tu non ingannerai me, né i miei figli, né i miei
nipoti; ma che userai verso di me e verso il paese dove hai abitato come
straniero la stessa benevolenza che io ho usata verso di te». Abraamo
rispose: «Lo giuro». Poi Abraamo fece delle rimostranze ad Abimelec a causa
di un pozzo d'acqua di cui i servi di Abimelec si erano impadroniti con la
forza. Abimelec disse: «Io non so chi abbia fatto questo; tu stesso non me
l'hai fatto sapere e io non ne ho sentito parlare che oggi». Abraamo prese
pecore e buoi e li diede ad Abimelec; e i due fecero alleanza. Poi Abraamo
mise da parte sette agnelle del gregge. E Abimelec disse ad Abraamo: «Che
cosa significano queste sette agnelle che tu hai messe da parte?» Abraamo
rispose: «Tu accetterai dalla mia mano queste sette agnelle, perché ciò mi
serva di testimonianza che io ho scavato questo pozzo». Per questo egli
chiamò quel luogo Beer-Sceba, perché entrambi vi avevano fatto giuramento.
Così fecero alleanza a Beer-Sceba. Poi Abimelec, con Picol, capo del suo
esercito, si alzò e se ne tornarono nel paese dei Filistei. E Abraamo piantò
un tamarindo a Beer-Seba e lì invocò il nome del SIGNORE, Dio dell'eternità.
Abraamo abitò molto tempo come straniero nel paese dei Filistei.
(Eb 11:17-19; Gm 2:21-23)(Gv 3:16; 1Gv 4:9-10)
Dopo queste cose, Dio mise alla prova Abraamo e gli disse: «Abraamo!» Egli
rispose: «Eccomi». E Dio disse: «Prendi ora tuo figlio, il tuo unico, colui
che ami, Isacco, e va' nel paese di Moria, e offrilo là in olocausto sopra
uno dei monti che ti dirò». Abraamo si alzò la mattina di buon'ora, sellò il
suo asino, prese con sé due suoi servi e suo figlio Isacco, spaccò della
legna per l'olocausto, poi partì verso il luogo che Dio gli aveva indicato.
Il terzo giorno, Abraamo alzò gli occhi e vide da lontano il luogo. Allora
Abraamo disse ai suoi servi: «Rimanete qui con l'asino; io e il ragazzo
andremo fin là e adoreremo; poi torneremo da voi». Abraamo prese la legna
per l'olocausto e la mise addosso a Isacco suo figlio, prese in mano il
fuoco e il coltello, poi proseguirono tutti e due insieme. Isacco parlò ad
Abraamo suo padre e disse: «Padre mio!» Abraamo rispose: «Eccomi qui, figlio
mio». E Isacco: «Ecco il fuoco e la legna; ma dov'è l'agnello per
l'olocausto?» Abraamo rispose: «Figlio mio, Dio stesso si provvederà
l'agnello per l'olocausto». E proseguirono tutti e due insieme. Giunsero al
luogo che Dio gli aveva detto. Abraamo costruì l'altare e vi accomodò la
legna; legò Isacco suo figlio, e lo mise sull'altare, sopra la legna.
Abraamo stese la mano e prese il coltello per scannare suo figlio. Ma
l'angelo del SIGNORE lo chiamò dal cielo e disse: «Abraamo, Abraamo!» Egli
rispose: «Eccomi». E l'angelo: «Non stendere la mano contro il ragazzo e non
fargli male! Ora so che tu temi Dio, poiché non mi hai rifiutato tuo figlio,
l'unico tuo». Abraamo alzò gli occhi, guardò, ed ecco dietro a sé un
montone, impigliato per le corna in un cespuglio. Abraamo andò, prese il
montone e l'offerse in olocausto invece di suo figlio. Abraamo chiamò quel
luogo «Iavè-Irè». Per questo si dice oggi: «Al monte del SIGNORE sarà
provveduto». L'angelo del SIGNORE chiamò dal cielo Abraamo una seconda
volta, e disse: «Io giuro per me stesso, dice il SIGNORE, che, siccome tu
hai fatto questo e non mi hai rifiutato tuo figlio, l'unico tuo, io ti
colmerò di benedizioni e moltiplicherò la tua discendenza come le stelle del
cielo e come la sabbia che è sul lido del mare; e la tua discendenza
s'impadronirà delle città dei suoi nemici. Tutte le nazioni della terra
saranno benedette nella tua discendenza, perché tu hai ubbidito alla mia
voce». Poi Abraamo tornò dai suoi servi. Essi si levarono e insieme andarono
a Beer-Seba. E Abraamo abitò a Beer-Seba.
Pr 25:25; Ge 24:15
Dopo queste cose fu riferito ad Abraamo questo: Ecco, Milca ha partorito
anch'ella dei figli a Naor, tuo fratello: Uz, il primogenito, Buz, suo
fratello, Chemuel padre d'Aram, Chesed, Azo, Pildas, Idlaf e Betuel. E
Betuel generò Rebecca. Questi otto Milca partorì a Naor, fratello d'Abraamo.
E la concubina di lui, che si chiamava Reuma, partorì anch'essa Teba, Gaam,
Taas e Maaca.
CAPITOLO 23
Morte di Sara e sua sepoltura
(Ge 25:7-10; 49:29-32)(2S 24:20-24; Gr 32:8-12)
La vita di Sara fu di centoventisette anni. Tanti furono gli anni della sua
vita. Sara morì a Chiriat-Arba, che è Ebron, nel paese di Canaan, e Abraamo
venne a far lutto per Sara e a piangerla. Poi Abraamo si alzò, si allontanò
dalla salma e parlò ai figli di Chet dicendo: «Io sono straniero e di
passaggio tra di voi; datemi la proprietà di una tomba in mezzo a voi per
seppellire la salma e toglierla dalla mia vista». I figli di Chet risposero
ad Abraamo: «Ascoltaci, signore! Tu sei un principe di Dio in mezzo a noi;
seppellisci la tua salma nella migliore delle nostre tombe; nessuno di noi
ti rifiuterà la sua tomba perché tu ve la seppellisca». Abraamo si alzò,
s'inchinò davanti al popolo del paese, davanti ai figli di Chet, e parlò
loro così: «Se piace a voi che io seppellisca la salma togliendola dalla mia
vista, ascoltatemi e intercedete per me presso Efron, figlio di Zoar, perché
mi ceda la grotta di Macpela che è all'estremità del suo campo; me la dia
per il suo prezzo intero, come tomba di mia proprietà nel vostro paese». Or
Efron stava seduto in mezzo ai figli di Chet; ed Efron, l'Ittita, rispose ad
Abraamo in presenza dei figli di Chet, di tutti quelli che entravano per la
porta della sua città: «No, mio signore, ascoltami! Io ti do il campo e ti
do la grotta che vi si trova; te ne faccio dono, in presenza dei figli del
mio popolo; seppellisci la salma». Allora Abraamo s'inchinò davanti al
popolo del paese e, in presenza del popolo del paese, disse a Efron: «Ti
prego, ascoltami! Ti darò il prezzo del campo, accettalo da me, e io
seppellirò lì la salma». Efron rispose ad Abraamo: «Signor mio, ascoltami!
Un pezzo di terreno di quattrocento sicli d'argento, che cos'è tra me e te?
Seppellisci dunque la salma». Abraamo diede ascolto a Efron e gli pesò il
prezzo che egli aveva detto in presenza dei figli di Chet: quattrocento
sicli d'argento, di buona moneta corrente sul mercato. Così il campo di
Efron, che era a Macpela di fronte a Mamre, il campo con la grotta che vi si
trovava, tutti gli alberi che erano nel campo e in tutti i confini
all'intorno, furono assicurati come proprietà d'Abraamo, in presenza dei
figli di Chet e di tutti quelli che entravano per la porta della città di
Efron. Subito dopo, Abraamo seppellì sua moglie Sara nella grotta del campo
di Macpela di fronte a Mamre, cioè Ebron, nel paese di Canaan. Il campo e la
grotta che vi si trova, furono assicurati ad Abraamo, dai figli di Chet,
come sepolcro di sua proprietà.
CAPITOLO 24
Rebecca chiesta in sposa per Isacco
(Ge 28:1-10; 29:1-20)
Or Abraamo era diventato vecchio, d'età avanzata, e il SIGNORE lo aveva
benedetto in ogni cosa. Abraamo disse al più anziano dei servi di casa sua,
che aveva il governo di tutti i suoi beni: «Metti la tua mano sotto la mia
coscia e io ti farò giurare per il SIGNORE, il Dio dei cieli e il Dio della
terra, che tu non prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei
Cananei in mezzo ai quali abito; ma andrai al mio paese, dai miei parenti, e
vi prenderai una moglie per mio figlio, per Isacco». Il servo gli rispose:
«Forse quella donna non vorrà seguirmi in questo paese; dovrò allora
ricondurre tuo figlio nel paese dal quale tu sei uscito?» Abraamo gli disse:
«Guàrdati dal far tornare là mio figlio! Il SIGNORE, il Dio dei cieli, che
mi fece uscire dalla casa di mio padre e dal mio paese natale - e mi parlò e
mi giurò dicendo: "Io darò alla tua discendenza questo paese" - egli stesso
manderà il suo angelo davanti a te e tu prenderai di là una moglie per mio
figlio. Se la donna non vorrà seguirti, allora sarai sciolto da questo
giuramento che ti faccio fare; soltanto, non ricondurre là mio figlio». E il
servo pose la mano sotto la coscia d'Abraamo suo signore, e gli giurò di
fare queste cose. Poi il servo prese dieci cammelli, tra i cammelli del suo
signore, e partì, avendo a sua disposizione tutti i beni del suo signore; e,
messosi in viaggio, giunse in Mesopotamia, alla città di Naor. Dopo aver
fatto riposare sulle ginocchia i cammelli fuori della città presso un pozzo
d'acqua, verso sera, all'ora in cui le donne escono ad attinger acqua,
disse: «O SIGNORE, Dio del mio signore Abraamo, ti prego, fammi fare
quest'oggi un felice incontro; usa bontà verso Abraamo mio signore! Ecco, io
sto qui presso questa sorgente; e le figlie degli abitanti della città
usciranno ad attingere acqua. Fa' che la fanciulla alla quale dirò:
"Abbassa, ti prego, la tua brocca perché io beva", e che mi risponderà:
"Bevi, e darò da bere anche ai tuoi cammelli", sia quella che tu hai
destinata al tuo servo Isacco. Da questo comprenderò che tu hai usato bontà
verso il mio signore». Non aveva ancora finito di parlare, quand'ecco
uscire, con la sua brocca sulla spalla, Rebecca, figlia di Betuel figlio di
Milca, moglie di Naor fratello d'Abraamo. La fanciulla era molto bella
d'aspetto, vergine; nessun uomo l'aveva conosciuta. Lei scese alla sorgente,
riempì la brocca e risalì. Il servo le corse incontro e le disse: «Ti prego,
fammi bere un po' d'acqua della tua brocca». Lei rispose: «Bevi, mio
signore»; e s'affrettò a calare la brocca sulla mano e gli diede da bere.
Quand'ebbe finito di dargli da bere, disse: «Io ne attingerò anche per i
tuoi cammelli finché abbiano bevuto a sufficienza». E presto vuotò la sua
brocca nell'abbeveratoio, corse di nuovo al pozzo ad attingere acqua e ne
attinse per tutti i cammelli di lui. Quell'uomo la contemplava in silenzio,
per sapere se il SIGNORE avesse o no dato successo al suo viaggio. Quando i
cammelli ebbero finito di bere, l'uomo prese un anello d'oro del peso di
mezzo siclo, e due braccialetti del peso di dieci sicli d'oro, per i polsi
di lei, e disse: «Di chi sei figlia? Dimmelo, ti prego. V'è posto in casa di
tuo padre per alloggiarci?» Rispose a lui: «Sono figlia di Betuel, figlio di
Milca, che lei partorì a Naor». E aggiunse: «C'è da noi paglia e foraggio in
abbondanza e anche posto da alloggiare». Allora l'uomo s'inchinò, adorò il
SIGNORE, e disse: «Benedetto sia il SIGNORE, il Dio d'Abraamo mio signore,
che non ha cessato di essere buono e fedele verso il mio signore! Quanto a
me, il SIGNORE mi ha messo sulla via della casa dei fratelli del mio
signore». E la fanciulla corse a raccontare queste cose a casa di sua madre.
Rebecca aveva un fratello chiamato Labano. Labano corse fuori da quell'uomo
alla sorgente. Com'ebbe veduto l'anello e i braccialetti ai polsi di sua
sorella ed ebbe udito le parole di Rebecca sua sorella che diceva:
«Quell'uomo mi ha parlato così», andò da quell'uomo, che se ne stava presso
ai cammelli, vicino alla sorgente, e disse: «Entra, benedetto dal SIGNORE!
perché stai fuori? Io ho preparato la casa e un luogo per i cammelli».
L'uomo entrò in casa e Labano scaricò i cammelli, diede paglia e foraggio ai
cammelli e portò acqua per lavare i piedi a lui e a quelli che erano con
lui. Poi gli fu posto davanti da mangiare, ma egli disse: «Non mangerò
finché non abbia fatto la mia ambasciata». E l'altro disse: «Parla». Egli
disse: «Io sono servo d'Abraamo. Il SIGNORE ha benedetto abbondantemente il
mio signore, che è diventato ricco; gli ha dato pecore e buoi, argento e
oro, servi e serve, cammelli e asini. Or Sara, moglie del mio signore, ha
partorito nella sua vecchiaia un figlio al mio padrone, il quale gli ha dato
tutto quello che possiede. Il mio signore mi ha fatto giurare, dicendo: "Non
prenderai per mio figlio una moglie tra le figlie dei Cananei, nel paese dei
quali abito; ma andrai alla casa di mio padre, alla mia famiglia, a
prendervi una moglie per mio figlio". E io dissi al mio padrone: "Forse
quella donna non vorrà seguirmi". Egli rispose: "Il SIGNORE, davanti al
quale ho camminato, manderà con te il suo angelo e darà successo al tuo
viaggio; così tu potrai prendere per mio figlio una moglie dalla mia
famiglia e dalla casa di mio padre. Sarai sciolto dal giuramento che ti
faccio fare, solo quando sarai andato alla mia famiglia; e, se non vorranno
dartela, allora sarai sciolto dal giuramento che mi fai". Oggi sono arrivato
alla sorgente e ho detto: "SIGNORE, Dio del mio signore Abraamo, se gradisci
dar successo al viaggio che ho intrapreso, ecco, io mi fermo presso questa
sorgente; fa' che la fanciulla che uscirà ad attingere acqua, alla quale
dirò: «Ti prego, dammi da bere un po' d'acqua della tua brocca», e che mi
dirà: «Bevi pure, e ne attingerò anche per i tuoi cammelli», sia la moglie
che il SIGNORE ha destinata al figlio del mio signore". E, prima che avessi
finito di parlare in cuor mio, ecco uscire Rebecca con la sua brocca sulla
spalla, scendere alla sorgente e attingere l'acqua. Allora io le ho detto:
"Ti prego, fammi bere!" Ed ella si è affrettata a calare la brocca dalla
spalla e mi ha risposto: "Bevi! e darò da bere anche ai tuoi cammelli". Così
ho bevuto io, e lei ha abbeverato anche i cammelli. Poi l'ho interrogata e
le ho detto: "Di chi sei figlia?" Lei ha risposto: "Son figlia di Betuel, il
figlio che Milca partorì a Naor". Allora io le ho messo l'anello al naso e i
braccialetti ai polsi. Mi sono inchinato, ho adorato il SIGNORE e ho
benedetto il SIGNORE, il Dio d'Abraamo mio signore, che mi ha guidato sulla
giusta via a prendere per suo figlio la figlia del fratello del mio signore.
Ora, se volete usare bontà e fedeltà verso il mio signore, ditemelo; e se
no, ditemelo lo stesso, e io mi volgerò a destra o a sinistra». Allora
Labano e Betuel risposero: «La cosa procede dal SIGNORE; noi non possiamo
dirti né male né bene. Ecco, Rebecca ti sta davanti: prendila, va', e sia
moglie del figlio del tuo signore, come il SIGNORE ha detto». Quando il
servo d'Abraamo udì le loro parole, si prostrò a terra davanti al SIGNORE.
Poi il servo tirò fuori oggetti d'argento, oggetti d'oro, vesti e li diede a
Rebecca; donò anche delle cose preziose al fratello e alla madre di lei. Poi
mangiarono e bevvero, egli e gli uomini che erano con lui, e passarono lì la
notte. La mattina, quando si furono alzati, il servo disse: «Lasciatemi
tornare dal mio signore». E il fratello e la madre di Rebecca dissero:
«Rimanga la fanciulla ancora alcuni giorni con noi, almeno una decina; poi
se ne andrà». Ma egli rispose loro: «Non mi trattenete, giacché il SIGNORE
ha dato successo al mio viaggio; lasciatemi partire, perché io me ne torni
dal mio signore». Allora dissero: «Chiamiamo la fanciulla e sentiamo lei
stessa». Chiamarono Rebecca e le dissero: «Vuoi andare con quest'uomo?» Ed
ella rispose: «Sì, andrò». Così lasciarono andare Rebecca, loro sorella, e
la sua nutrice con il servo d'Abraamo e la sua gente. Benedissero Rebecca e
le dissero: «Sorella nostra, possa tu divenire migliaia di miriadi e possa
la tua discendenza impadronirsi delle città dei suoi nemici!» Rebecca si
levò con le sue serve, montarono sui cammelli e seguirono quell'uomo. Il
servo prese Rebecca e se ne andò. Isacco era tornato dal pozzo di Lacai-Roi
e abitava nella regione meridionale. Isacco era uscito, sul far della sera,
per meditare nella campagna; e, alzando gli occhi, guardò, e vide venire dei
cammelli. Anche Rebecca alzò gli occhi, vide Isacco, saltò giù dal cammello,
e disse al servo: «Chi è quell'uomo che viene per la campagna incontro a
noi?» Il servo rispose: «È il mio signore». Ed ella, preso il velo, si
coprì. Il servo raccontò a Isacco tutto quello che aveva fatto. E Isacco
condusse Rebecca nella tenda di Sara sua madre, la prese, ed ella divenne
sua moglie, ed egli l'amò. Così Isacco fu consolato dopo la morte di sua
madre.
1Cr 1:32-33 (Ge 35:28-29; 49:29-33)
Poi Abraamo prese un'altra moglie, di nome Chetura. Questa gli partorì
Zimran, Iocsan, Medan, Madian, Isbac e Suac. Iocsan generò Seba e Dedan. I
figli di Dedan furono gli Assurim, i Letusim e i Leummim. E i figli di
Madian furono Efa, Efer, Anoc, Abida ed Eldaa. Tutti questi furono i figli
di Chetura. Abraamo diede tutto ciò che possedeva a Isacco; ma ai figli
delle sue concubine fece dei doni e, mentre era ancora in vita, li mandò
lontano da suo figlio Isacco, verso levante, nella terra d'Oriente. La
durata della vita d'Abraamo fu di centossettantacinque anni. Poi Abraamo
spirò in prospera vecchiaia, attempato e sazio di giorni, e fu riunito al
suo popolo. Isacco e Ismaele, suoi figli, lo seppellirono nella grotta di
Macpela nel campo di Efron, figlio di Soar, l'Ittita, di fronte a Mamre:
campo che Abraamo aveva comprato dai figli di Chet. Lì furono sepolti
Abraamo e sua moglie Sara. Dopo la morte d'Abraamo, Dio benedisse suo figlio
Isacco; e Isacco abitò presso il pozzo di Lacai-Roi.
Discendenti d'Ismaele
1Cr 1:28-31 (Ge 17:20; 21:17-21)
Or questi sono i discendenti d'Ismaele, figlio d'Abraamo, che Agar,
l'Egiziana, serva di Sara, aveva partorito ad Abraamo. Questi sono i nomi
dei figli d'Ismaele, secondo le loro generazioni: Nebaiot, il primogenito
d'Ismaele; poi Chedar, Adbeel, Mibsam, Misma, Duma, Massa, Adad, Tema,
Ietur, Nafis e Chedma. Questi sono i figli d'Ismaele e questi i loro nomi,
secondo i loro villaggi e i loro accampamenti. Furono i dodici capi dei loro
popoli. Gli anni della vita d'Ismaele furono centotrentasette; poi morì, e
fu riunito al suo popolo. I suoi figli abitarono da Avila fino a Sur, che è
di fronte all'Egitto, andando verso l'Assiria. Egli si era stabilito di
fronte a tutti i suoi fratelli.
Discendenti d'Isacco
Ro 9:10-13 (Ge 38:27-30)
Questi sono i discendenti d'Isacco, figlio d'Abraamo. Abraamo generò Isacco;
Isacco aveva quarant'anni quando prese per moglie Rebecca, figlia di Betuel,
l'Arameo di Paddan-Aram, e sorella di Labano, l'Arameo. Isacco implorò il
SIGNORE per sua moglie Rebecca, perché ella era sterile. Il SIGNORE l'esaudì
e Rebecca, sua moglie, concepì. I bambini si urtavano nel suo grembo ed ella
disse: «Se così è, perché vivo?» E andò a consultare il SIGNORE. Il SIGNORE
le disse: «Due nazioni sono nel tuo grembo e due popoli separati usciranno
dal tuo seno. Uno dei due popoli sarà più forte dell'altro, e il maggiore
servirà il minore». Quando venne per lei il tempo di partorire, ecco che lei
aveva due gemelli nel grembo. Il primo che nacque era rosso e peloso come un
mantello di pelo. Così fu chiamato Esaù. Dopo nacque suo fratello, che con
la mano teneva il calcagno di Esaù e fu chiamato Giacobbe. Isacco aveva
sessant'anni quando Rebecca li partorì.
Esaù vende il suo diritto di primogenitura
Eb 12:16-17
I due bambini crebbero; Esaù divenne un esperto cacciatore, un uomo di
campagna, e Giacobbe un uomo tranquillo che se ne stava nelle tende. Isacco
amava Esaù, perché la cacciagione era di suo gusto. Rebecca invece amava
Giacobbe. Or mentre Giacobbe faceva cuocere una minestra, Esaù sopraggiunse
dai campi, tutto stanco. Esaù disse a Giacobbe: «Dammi per favore da
mangiare un po' di questa minestra rossa, perché sono stanco». Perciò fu
chiamato Edom. Giacobbe gli rispose: «Vendimi prima di tutto la tua
primogenitura». Esaù disse: «Ecco, io sto morendo; a che mi serve la
primogenitura?» Giacobbe disse: «Prima, giuramelo». Esaù glielo giurò e
vendette la sua primogenitura a Giacobbe. Allora Giacobbe diede a Esaù del
pane e della minestra di lenticchie. Egli mangiò e bevve; poi si alzò, e se
ne andò. Fu in questo modo che Esaù disprezzò la primogenitura.
CAPITOLO 26
Isacco nel paese dei Filistei
Ge 28:13-15 (Ge 12:10-20; 20)
Nel paese ci fu una carestia, oltre la prima che c'era già stata ai tempi
d'Abraamo, e Isacco andò da Abimelec, re dei Filistei, a Gherar. Il SIGNORE
gli apparve e gli disse: «Non scendere in Egitto; abita nel paese che io ti
dirò. Soggiorna in questo paese e io sarò con te e ti benedirò, perché io
darò a te e alla tua discendenza tutti questi paesi e manterrò il giuramento
che feci ad Abraamo tuo padre. Moltiplicherò la tua discendenza come le
stelle del cielo e darò alla tua discendenza tutti questi paesi; tutte le
nazioni della terra saranno benedette nella tua discendenza, perché Abraamo
ubbidì alla mia voce e osservò quello che gli avevo ordinato: i miei
comandamenti, i miei statuti e le mie leggi». Così Isacco rimase a Gherar.
Quando la gente del luogo gli faceva delle domande intorno a sua moglie,
egli rispondeva: «È mia sorella», perché aveva paura di dire: «È mia
moglie». «Non vorrei», egli pensava, «che la gente del luogo mi uccida, a
causa di Rebecca». Infatti lei era di bell'aspetto. Mentre era là da molto
tempo, avvenne che Abimelec, re dei Filistei, si affacciò alla finestra e
vide che Isacco scherzava con Rebecca sua moglie. Allora Abimelec chiamò
Isacco e gli disse: «Certo, costei è tua moglie; come mai dunque hai detto:
"È mia sorella"?» Isacco rispose: «Perché dicevo: "Non vorrei essere messo a
morte a causa di lei"». E Abimelec: «Che ci hai fatto? Poco ci mancava che
qualcuno del popolo si unisse a tua moglie, e tu ci avresti attirato addosso
una grande colpa». E Abimelec diede quest'ordine a tutto il popolo:
«Chiunque toccherà quest'uomo o sua moglie sia messo a morte».
(Sl 112:1-3; Ge 21:22-34) Pr 16:7; Mt 5:5
Isacco seminò in quel paese, e in quell'anno raccolse il centuplo; il
SIGNORE lo benedisse. Quest'uomo divenne grande, andò crescendo sempre più,
finché diventò ricchissimo: fu padrone di greggi di pecore, di mandrie di
buoi e di numerosa servitù. I Filistei lo invidiavano. Perciò turarono e
riempirono di terra tutti i pozzi che i servi di suo padre avevano scavati,
al tempo d'Abraamo suo padre, e Abimelec disse ad Isacco: «Vattene via da
noi, perché tu sei molto più potente di noi». Isacco allora partì di là,
s'accampò nella valle di Gherar e vi si stabilì. Isacco scavò di nuovo i
pozzi d'acqua, che erano stati scavati al tempo di suo padre Abraamo, e che
i Filistei avevano turato dopo la morte d'Abraamo; e li chiamò con gli
stessi nomi con cui li aveva chiamati suo padre. I servi d'Isacco scavarono
nella valle e vi trovarono un pozzo d'acqua viva. Ma i pastori di Gherar
litigarono con i pastori d'Isacco, dicendo: «L'acqua è nostra». Così egli
chiamò il pozzo Esec, perché quelli avevano litigato con lui. Poi i servi
scavarono un altro pozzo e quelli litigarono anche per questo. E Isacco lo
chiamò Sitna. Allora egli partì di là e scavò un altro pozzo, per il quale
quelli non litigarono. Ed egli lo chiamò Recobot, perché disse: «Ora il
SIGNORE ci ha dato spazio libero e noi prospereremo nel paese». Poi di là
Isacco salì a Beer-Seba. Il SIGNORE gli apparve quella stessa notte e gli
disse: «Io sono il Dio d'Abraamo tuo padre; non temere, perché io sono con
te e ti benedirò e moltiplicherò la tua discendenza per amore del mio servo
Abraamo». In quel luogo egli costruì un altare, invocò il nome del SIGNORE e
vi piantò la sua tenda. E i servi d'Isacco vi scavarono un pozzo. Abimelec
partì da Gherar e andò da lui con Auzat, suo amico, e con Picol, capo del
suo esercito. Isacco disse loro: «Perché venite da me, visto che mi odiate e
mi avete mandato via dal vostro paese?» Quelli risposero: «Noi abbiamo
chiaramente visto che il SIGNORE è con te; e abbiamo detto: "Si faccia ora
un giuramento tra di noi", cioè fra te e noi, e facciamo un'alleanza con te.
Giura che non ci farai alcun male, così come noi non ti abbiamo toccato, e
non ti abbiamo fatto altro che del bene e t'abbiamo lasciato andare in pace.
Tu sei ora benedetto dal SIGNORE». E Isacco fece loro un banchetto, ed essi
mangiarono e bevvero. La mattina seguente si alzarono di buon'ora e si
prestarono giuramento reciprocamente. Poi Isacco li congedò e quelli si
separarono da lui in pace. Quello stesso giorno, i servi d'Isacco gli
vennero a dare notizia del pozzo che avevano scavato, dicendogli: «Abbiamo
trovato dell'acqua». Ed egli lo chiamò Siba. Per questo la città porta il
nome di Beer-Seba fino ad oggi.
Ge 27:46-28:9
Or Esaù, all'età di quarant'anni, prese in moglie Giudit, figlia di Beeri,
l'Ittita, e Basmat, figlia di Elon, l'Ittita. Esse furono causa di profonda
amarezza per Isacco e per Rebecca.
CAPITOLO 27
Giacobbe benedetto al posto di Esaù
Ge 25:21-34 (Eb 11:20; 12:16-17) Ge 48:14, 17-20
Isacco era invecchiato e i suoi occhi indeboliti non ci vedevano più. Allora
egli chiamò Esaù, suo figlio maggiore, e gli disse: «Figlio mio!» Quello
rispose: «Eccomi!» E Isacco: «Ecco, io sono vecchio e non so il giorno della
mia morte. Ora prendi, ti prego, le tue armi, le tue frecce e il tuo arco,
va' fuori nei campi e prendimi un po' di selvaggina. Poi preparami una
pietanza saporita, di quelle che mi piacciono; portamela perché io la mangi
e ti benedica prima che io muoia». Rebecca stava ad ascoltare mentre Isacco
parlava a suo figlio Esaù. Ed Esaù se ne andò nei campi per cacciare della
selvaggina e portarla a suo padre. Rebecca parlò a suo figlio Giacobbe e gli
disse: «Ho udito tuo padre che parlava con tuo fratello Esaù, e gli diceva:
"Portami un po' di selvaggina e fammi una pietanza saporita perché io la
mangi e ti benedica davanti al SIGNORE, prima che io muoia". Ora, figlio
mio, ubbidisci alla mia voce e fa' quello che ti comando. Va' al gregge e
prendimi due buoni capretti e io ne farò una pietanza saporita per tuo
padre, di quelle che gli piacciono. Tu la porterai a tuo padre, perché la
mangi e così ti benedica prima che egli muoia». Giacobbe disse a Rebecca sua
madre: «Mio fratello Esaù è peloso, e io no. Può darsi che mio padre mi
tasti e mi consideri un impostore e mi attirerò addosso una maledizione
invece di una benedizione». Sua madre gli rispose: «Questa maledizione
ricada su di me, figlio mio! Ubbidisci pure alla mia voce e va' a prendermi
i capretti». Egli dunque andò a prenderli e li portò a sua madre; e sua
madre ne preparò una pietanza saporita, di quelle che piacevano al padre di
lui. Poi Rebecca prese i più bei vestiti di Esaù, suo figlio maggiore, i
quali erano in casa presso di lei, e li fece indossare a Giacobbe suo figlio
minore; con le pelli dei capretti gli coprì le mani e il collo, che erano
senza peli. Poi mise in mano a suo figlio Giacobbe la pietanza saporita e il
pane che aveva preparato. Egli andò da suo padre e gli disse: «Padre mio!»
Isacco rispose: «Eccomi; chi sei tu, figlio mio?» Giacobbe disse a suo
padre: «Sono Esaù, il tuo primogenito. Ho fatto come tu mi hai detto.
Àlzati, ti prego, mettiti a sedere e mangia la mia selvaggina, perché tu mi
benedica». Isacco disse a suo figlio: «Come hai fatto a trovarne così
presto, figlio mio?» E quello rispose: «Perché il SIGNORE, il tuo Dio, l'ha
fatta venire sulla mia via». Allora Isacco disse a Giacobbe: «Avvicìnati,
figlio mio, e lascia che io ti tasti, per sapere se sei proprio mio figlio
Esaù, o no». Giacobbe s'avvicinò a suo padre Isacco; e, come questi lo ebbe
tastato, disse: «La voce è la voce di Giacobbe, ma le mani sono le mani
d'Esaù». Non lo riconobbe, perché le sue mani erano pelose come le mani di
suo fratello Esaù, e lo benedisse. Disse: «Tu sei proprio mio figlio Esaù?»
Egli rispose: «Sì». E Isacco gli disse: «Portami da mangiare la selvaggina
di mio figlio, e io ti benedirò». Giacobbe gliene servì, e Isacco mangiò.
Giacobbe gli portò anche del vino, ed egli bevve. Poi suo padre Isacco gli
disse: «Ora avvicìnati e baciami, figlio mio». Egli s'avvicinò e lo baciò. E
Isacco sentì l'odore dei vestiti, e lo benedisse dicendo: «Ecco, l'odore di
mio figlio è come l'odore di un campo, che il SIGNORE ha benedetto. Dio ti
conceda la rugiada del cielo, la fertilità della terra e abbondanza di
frumento e di vino. Ti servano i popoli e le nazioni s'inchinino davanti a
te. Sii padrone dei tuoi fratelli e i figli di tua madre s'inchinino davanti
a te. Maledetto sia chiunque ti maledice, benedetto sia chiunque ti
benedice!» Appena Isacco ebbe finito di benedire Giacobbe e Giacobbe se ne
fu andato dalla presenza di suo padre Isacco, Esaù suo fratello giunse dalla
caccia. Anch'egli preparò una pietanza saporita, la portò a suo padre e gli
disse: «Si alzi mio padre, e mangi della selvaggina di suo figlio, perché mi
benedica». Suo padre Isacco gli disse: «Chi sei tu?» Ed egli rispose: «Sono
Esaù, tuo figlio primogenito». Isacco fu preso da un tremito fortissimo e
disse: «E allora, chi è colui che ha preso della selvaggina e me l'ha
portata? Io ho mangiato di tutto prima che tu venissi, e l'ho benedetto; e
benedetto egli sarà». Quando Esaù udì le parole di suo padre, emise un grido
forte e amarissimo. Poi disse a suo padre: «Benedici anche me, padre mio».
Isacco rispose: «Tuo fratello è venuto con inganno e si è preso la tua
benedizione». Ed Esaù: «Non è forse a ragione che egli è stato chiamato
Giacobbe? Mi ha già soppiantato due volte: mi tolse la mia primogenitura, ed
ecco che ora mi ha tolto la mia benedizione». Poi aggiunse: «Non hai serbato
qualche benedizione per me?» Isacco rispose e disse a Esaù: «Io l'ho
costituito tuo padrone, gli ho dato tutti i suoi fratelli per servi e l'ho
provveduto di frumento e di vino; che potrei dunque fare per te, figlio
mio?» Allora Esaù disse a suo padre: «Hai tu questa sola benedizione, padre
mio? Benedici anche me, padre mio!» Quindi Esaù alzò la voce e pianse. Suo
padre Isacco rispose e gli disse: «Ecco, la tua dimora sarà priva della
fertilità della terra e della rugiada che scende dal cielo. Tu vivrai della
tua spada, e sarai servo di tuo fratello; ma avverrà che, conducendo una
vita errante, tu spezzerai il suo giogo dal tuo collo».
1Gv 3:15; Pr 18:19; Ge 28:1-10
Esaù odiava Giacobbe, a causa della benedizione datagli da suo padre, e
disse in cuor suo: «I giorni del lutto di mio padre si avvicinano, allora
ucciderò mio fratello Giacobbe». Furono riferite a Rebecca le parole di
Esaù, suo figlio maggiore, e lei mandò a chiamare Giacobbe, suo figlio
minore, e gli disse: «Esaù, tuo fratello, vuole vendicarsi e ucciderti. Ora,
figlio mio, ubbidisci alla mia voce; lèvati e fuggi a Caran da mio fratello
Labano, rimani laggiù, finché il furore di tuo fratello sia passato, finché
l'ira di tuo fratello si sia stornata da te ed egli abbia dimenticato quello
che tu gli hai fatto. Allora io manderò a farti ritornare da laggiù. Perché
dovrei essere privata di voi due in uno stesso giorno?» Rebecca disse a
Isacco: «Sono disgustata a causa di queste donne ittite. Se Giacobbe prende
in moglie, tra le Ittite, tra le abitanti del paese, una come quelle, che mi
giova la vita?»
CAPITOLO 28
Fuga di Giacobbe in Mesopotamia; visione della scala
Ge 27:41-46; 24:1-10
Allora Isacco chiamò Giacobbe, lo benedisse e gli diede quest'ordine: «Non
prendere moglie tra le donne di Canaan. Parti, va' a Paddan-Aram, alla casa
di Betuel, padre di tua madre, e prendi moglie là, tra le figlie di Labano,
fratello di tua madre. Il Dio onnipotente ti benedica, ti renda fecondo e ti
moltiplichi, in modo che tu diventi un'assemblea di popoli, e ti dia la
benedizione d'Abraamo: a te e alla tua discendenza con te, perché tu
possieda il paese dove sei andato peregrinando, che Dio donò ad Abraamo».
Isacco fece partire Giacobbe, il quale andò a Paddan-Aram da Labano, figlio
di Betuel, l'Arameo, fratello di Rebecca, madre di Giacobbe e di Esaù.
Ge 26:34-35; 36:1-5
Esaù vide che Isacco aveva benedetto Giacobbe e l'aveva mandato a
Paddan-Aram perché vi prendesse moglie e che, benedicendolo, gli aveva dato
quest'ordine: «Non prendere moglie tra le donne di Canaan», e che Giacobbe
aveva ubbidito a suo padre e a sua madre ed era andato a Paddan-Aram. Esaù
comprese che le donne di Canaan non erano gradite a suo padre Isacco. Allora
andò da Ismaele, e prese per moglie, oltre quelle che aveva già, Maalat,
figlia d'Ismaele, figlio d'Abraamo, sorella di Nebaiot.
Os 12:13 (Ge 35:1-15; Gv 1:51) Ro 5:20
Giacobbe partì da Beer-Seba e andò verso Caran. Giunse ad un certo luogo e
vi passò la notte, perché il sole era già tramontato. Prese una delle pietre
del luogo, se la mise per capezzale e lì si coricò. Fece un sogno: una scala
poggiava sulla terra, mentre la sua cima toccava il cielo; e gli angeli di
Dio salivano e scendevano per la scala. Il SIGNORE stava al di sopra di essa
e gli disse: «Io sono il SIGNORE, il Dio d'Abraamo tuo padre e il Dio
d'Isacco. La terra sulla quale tu stai coricato, io la darò a te e alla tua
discendenza. La tua discendenza sarà come la polvere della terra e tu ti
estenderai a occidente e a oriente, a settentrione e a meridione, e tutte le
famiglie della terra saranno benedette in te e nella tua discendenza. Io
sono con te, e ti proteggerò dovunque tu andrai e ti ricondurrò in questo
paese, perché io non ti abbandonerò prima di aver fatto quello che ti ho
detto». Quando Giacobbe si svegliò dal sonno, disse: «Certo, il SIGNORE è in
questo luogo e io non lo sapevo!» Ebbe paura e disse: «Com'è tremendo questo
luogo! Questa non è altro che la casa di Dio, e questa è la porta del
cielo!» Giacobbe si alzò la mattina di buon'ora, prese la pietra che aveva
messa come capezzale, la pose come pietra commemorativa e vi versò sopra
dell'olio. E chiamò quel luogo Betel; mentre prima di allora il nome della
città era Luz. Giacobbe fece un voto, dicendo: «Se Dio è con me, se mi
protegge durante questo viaggio che sto facendo, se mi dà pane da mangiare e
vesti da coprirmi, e se ritorno sano e salvo alla casa di mio padre, il
SIGNORE sarà il mio Dio e questa pietra, che ho eretta come monumento, sarà
la casa di Dio; di tutto quello che tu mi darai, io certamente ti darò la
decima».
Ge 24:10-32; Es 2:15-21
Poi Giacobbe si mise in cammino e andò nel paese degli Orientali. Egli vide
nei campi un pozzo e tre greggi di pecore, accovacciate lì vicino; a quel
pozzo infatti si abbeveravano le greggi; ma la pietra sulla bocca del pozzo
era grande. Dopo che tutte le greggi si erano radunate là, i pastori
rotolavano la pietra dalla bocca del pozzo, abbeveravano le pecore, poi
rimettevano la pietra al suo posto, sulla bocca del pozzo. Giacobbe disse ai
pastori: «Fratelli miei, di dove siete?» Quelli risposero: «Siamo di Caran».
Egli disse loro: «Conoscete Labano, figlio di Naor?» Ed essi: «Lo
conosciamo». Egli disse loro: «Sta bene?» Quelli risposero: «Sta bene; ecco
Rachele, sua figlia, che viene con le pecore». Egli disse: «Ecco, è ancora
pieno giorno, e non è tempo di radunare il bestiame; abbeverate le pecore e
portatele al pascolo». Quelli risposero: «Non possiamo, finché non siano
radunate tutte le greggi; allora si rotola la pietra dalla bocca del pozzo e
abbeveriamo le pecore». Mentre egli parlava ancora con loro, giunse Rachele
con le pecore di suo padre; perché era lei che le portava al pascolo. Quando
Giacobbe vide Rachele figlia di Labano, fratello di sua madre, e le pecore
di Labano, fratello di sua madre, si avvicinò, rotolò la pietra dalla bocca
del pozzo e abbeverò il gregge di Labano, fratello di sua madre. Poi
Giacobbe baciò Rachele, alzò la voce e pianse. Giacobbe fece sapere a
Rachele che egli era parente del padre di lei, e che era figlio di Rebecca.
Ed ella corse a dirlo a suo padre. Appena Labano ebbe udito le notizie di
Giacobbe figlio di sua sorella, gli corse incontro, l'abbracciò, lo baciò, e
lo condusse a casa sua. Giacobbe raccontò a Labano tutte queste cose; e
Labano gli disse: «Tu sei proprio mie ossa e mia carne!» Così abitò presso
di lui per un mese.
Lea e Rachele
Os 12:13; Gc 14:10-13
Poi Labano disse a Giacobbe: «Perché sei mio parente devi forse servirmi per
nulla? Dimmi quale dev'essere il tuo salario». Or Labano aveva due figlie:
la maggiore si chiamava Lea e la minore Rachele. Lea aveva gli occhi
delicati, ma Rachele era avvenente e di bell'aspetto. Giacobbe amava Rachele
e disse a Labano: «Io ti servirò sette anni, per Rachele tua figlia minore».
Labano rispose: «È meglio che io la dia a te piuttosto che a un altro uomo;
resta con me». Giacobbe servì sette anni per Rachele; e gli parvero pochi
giorni, a causa del suo amore per lei. Poi Giacobbe disse a Labano: «Dammi
mia moglie, perché il mio tempo è compiuto, e io andrò da lei». Allora
Labano radunò tutta la gente del luogo e fece un banchetto. Ma, la sera,
prese sua figlia Lea e la condusse da Giacobbe, il quale si unì a lei.
Labano diede la sua serva Zilpa per serva a Lea, sua figlia. L'indomani
mattina ecco che era Lea! Giacobbe disse a Labano: «Che mi hai fatto? Non è
per Rachele che ti ho servito? Perché mi hai ingannato?» Labano rispose:
«Non è usanza da noi dare la minore prima della maggiore. Finisci la
settimana nuziale con questa e ti daremo anche l'altra, per il servizio che
presterai da me per altri sette anni». Giacobbe fece così, e finì la
settimana di quello sposalizio; poi Labano gli diede in moglie sua figlia
Rachele. Labano diede la sua serva Bila per serva a Rachele, sua figlia.
Giacobbe si unì pure a Rachele, e amò Rachele più di Lea, e servì Labano per
altri sette anni.
I figli di Giacobbe
Sl 127:3; Ge 49:1-12
Il SIGNORE, vedendo che Lea era odiata, la rese feconda; ma Rachele era
sterile. Lea concepì, partorì un figlio e lo chiamò Ruben, perché disse: «Il
SIGNORE ha visto la mia afflizione; ora mio marito mi amerà». Poi concepì di
nuovo e partorì un figlio, e disse: «Il SIGNORE ha udito che io ero odiata,
e mi ha dato anche questo figlio». E lo chiamò Simeone. Concepì di nuovo e
partorì un figlio, e disse: «Questa volta mio marito sarà ben unito a me,
perché gli ho partorito tre figli». Per questo fu chiamato Levi. E concepì
di nuovo, partorì un figlio e disse: «Questa volta celebrerò il SIGNORE».
Perciò lo chiamò Giuda. Poi cessò d'aver figli.
1S 1:20; Ge 28:3; 49:13-26; Sl 128:3
Rachele, vedendo che non partoriva figli a Giacobbe, invidiò sua sorella, e
disse a Giacobbe: «Dammi dei figli, altrimenti muoio». Giacobbe s'irritò
contro Rachele, e disse: «Sono forse io al posto di Dio che ti ha negato di
essere feconda?» Lei rispose: «Ecco la mia serva Bila; entra da lei; ella
partorirà sulle mie ginocchia e per mezzo di lei, avrò anch'io dei figli».
Ella gli diede la sua serva Bila per moglie, e Giacobbe si unì a lei. Bila
concepì e partorì un figlio a Giacobbe. Rachele disse: «Dio mi ha reso
giustizia, ha anche ascoltato la mia voce e mi ha dato un figlio». Perciò lo
chiamò Dan. Bila, serva di Rachele, concepì ancora e partorì a Giacobbe un
secondo figlio. Rachele disse: «Ho sostenuto contro mia sorella lotte
straordinarie e ho vinto». Perciò lo chiamò Neftali. Lea, vedendo che aveva
cessato d'aver figli, prese la sua serva Zilpa e la diede a Giacobbe per
moglie. Zilpa, serva di Lea, partorì un figlio a Giacobbe. E Lea disse: «Che
fortuna!» E lo chiamò Gad. Poi Zilpa, serva di Lea, partorì a Giacobbe un
secondo figlio. Lea disse: «Sono felice! perché le fanciulle mi chiameranno
beata». Perciò lo chiamò Ascer. Ruben uscì al tempo della mietitura del
grano e trovò nei campi delle mandragole, che portò a Lea sua madre. Allora
Rachele disse a Lea: «Ti prego, dammi delle mandragole di tuo figlio!» Ma
Lea rispose: «Ti pare poco avermi tolto il marito, che mi vuoi togliere
anche le mandragole di mio figlio?» E Rachele disse: «Ebbene, si corichi
pure con te questa notte, in compenso delle mandragole di tuo figlio». Come
Giacobbe, sul far della sera, se ne tornava nei campi, Lea uscì a
incontrarlo, e gli disse: «Vieni da me, perché ti ho preso per me con le
mandragole di mio figlio». Ed egli si coricò con lei quella notte. Dio
esaudì Lea, la quale concepì e partorì a Giacobbe un quinto figlio. E lei
disse: «Dio mi ha ricompensata, perché ho dato la mia serva a mio marito». E
lo chiamò Issacar. Lea concepì ancora e partorì a Giacobbe un sesto figlio.
E Lea disse: «Dio mi ha fatto un bel regalo; questa volta mio marito abiterà
con me, perché gli ho partorito sei figli». E lo chiamò Zabulon. Poi partorì
una figlia, e la chiamò Dina. Dio si ricordò anche di Rachele; Dio l'esaudì
e la rese feconda. Ella concepì e partorì un figlio, e disse: «Dio ha tolto
la mia vergogna». E lo chiamò Giuseppe, dicendo: «Il SIGNORE mi aggiunga un
altro figlio».
Giacobbe diviene ricco
Ge 31:1-12, 38-41; De 28:11
Dopo che Rachele ebbe partorito Giuseppe, Giacobbe disse a Labano: «Lasciami
partire, perché io vada a casa mia, nel mio paese. Dammi le mie mogli per le
quali ti ho servito, i miei figli, e lasciami andare, poiché tu conosci il
servizio che ti ho prestato». Labano gli disse: «Se ho trovato grazia agli
occhi tuoi, rimani; giacché credo di indovinare che il SIGNORE mi ha
benedetto per amor tuo». Poi disse: «Fissami il tuo salario e te lo darò».
Giacobbe gli rispose: «Tu sai in che modo ti ho servito e quello che è
diventato il tuo bestiame nelle mie mani. Infatti quello che avevi prima
della mia venuta era poco, ma ora si è molto accresciuto. Il SIGNORE ti ha
benedetto dovunque io ho messo il piede. Ora, quando lavorerò anch'io per la
mia casa?» Labano gli disse: «Che cosa ti devo dare?» Giacobbe rispose: «Non
darmi nulla; se acconsenti a quello che sto per dirti, io pascolerò di nuovo
le tue greggi e ne avrò cura. Passerò quest'oggi in mezzo a tutte le tue
greggi, mettendo da parte ogni agnello nero tra le pecore, ogni agnello
macchiato e vaiolato; e tra le capre, le vaiolate e le macchiate. Quello
sarà il mio salario. Così da ora innanzi la mia giustizia parlerà per me in
tua presenza quando verrai ad accertare il mio salario: tutto ciò che non
sarà macchiato o vaiolato fra le capre e nero tra gli agnelli, sarà rubato,
se si troverà presso di me». Labano disse: «Ebbene, sia come tu dici!»
Quello stesso giorno mise da parte i becchi striati e vaiolati e tutte le
capre macchiate o vaiolate, tutto quello che aveva del bianco e tutto quello
che era nero fra gli agnelli, e li affidò ai suoi figli. Labano frappose la
distanza di tre giornate di cammino tra sé e Giacobbe; Giacobbe pascolava il
rimanente delle greggi di Labano. Giacobbe prese dei rami verdi di pioppo,
di mandorlo e di platano e vi fece delle scortecciature bianche, mettendo
allo scoperto il bianco dei rami. Poi collocò i rami, che aveva
scortecciati, nei rigagnoli, negli abbeveratoi dove le pecore venivano a
bere, proprio davanti alle pecore, ed esse entravano in calore quando
venivano a bere. Le pecore dunque entravano in calore presso quei rami e
figliavano agnelli striati, macchiati e vaiolati. Poi Giacobbe metteva da
parte questi agnelli e faceva volgere gli occhi delle pecore verso tutto
quello che era striato e tutto quello che era nero nel gregge di Labano.
Egli si formò così delle greggi a parte, che non unì alle greggi di Labano.
Tutte le volte che le pecore vigorose del gregge entravano in calore,
Giacobbe metteva i rami nei rigagnoli, sotto gli occhi delle pecore, perché
le pecore entrassero in calore vicino a quei rami; ma quando le pecore erano
deboli, non ve le metteva; così gli agnelli deboli erano di Labano e i
vigorosi di Giacobbe. Quest'uomo diventò ricchissimo, ed ebbe greggi
numerose, serve, servi, cammelli e asini.
CAPITOLO 31
Ritorno di Giacobbe in Canaan
Ge 30:25-43; 32:9-12
Giacobbe sentì che i figli di Labano dicevano: «Giacobbe ha preso tutto
quello che era di nostro padre e, con quello che era di nostro padre, si è
fatto tutta questa ricchezza». Giacobbe osservò pure il volto di Labano e
vide che non era più, verso di lui, quello di prima. Il SIGNORE disse a
Giacobbe: «Torna al paese dei tuoi padri, dai tuoi parenti, e io sarò con
te». Allora Giacobbe mandò a chiamare Rachele e Lea perché venissero ai
campi, presso il suo gregge, e disse loro: «Io vedo che il volto di vostro
padre non è più, verso di me, quello di prima; ma il Dio di mio padre è
stato con me. Voi sapete che io ho servito vostro padre con tutte le mie
forze, mentre vostro padre mi ha ingannato e ha mutato il mio salario dieci
volte; ma Dio non gli ha permesso di farmi del male. Quand'egli diceva: "I
macchiati saranno il tuo salario", tutto il gregge figliava agnelli
macchiati. Quando diceva: "Gli striati saranno il tuo salario", tutto il
gregge figliava agnelli striati. Così Dio ha tolto il bestiame a vostro
padre e lo ha dato a me. Una volta, quando le pecore entravano in calore, io
alzai gli occhi e vidi in sogno che i maschi, che montavano le femmine,
erano striati, macchiati o chiazzati. L'angelo di Dio mi disse nel sogno:
"Giacobbe!" Io risposi: "Eccomi!" L'angelo disse: "Alza ora gli occhi e
guarda; tutti i maschi che montano le femmine sono striati, macchiati o
chiazzati, perché ho visto tutto quello che Labano ti fa. Io sono il Dio di
Betel, dove tu versasti dell'olio su una pietra commemorativa e mi facesti
un voto. Ora àlzati, parti da questo paese e torna al tuo paese natìo"».
Rachele e Lea gli risposero: «Abbiamo forse ancora qualche parte o eredità
in casa di nostro padre? Non ci ha forse trattate da straniere, quando ci ha
vendute e ha per di più divorato il nostro denaro? Tutte le ricchezze che
Dio ha tolte a nostro padre, sono nostre e dei nostri figli. Fa' dunque
tutto quello che Dio ti ha detto». Allora Giacobbe si alzò, mise i suoi
figli e le sue mogli sui cammelli e portò via tutto il suo bestiame - tutti
i beni che si era procurato, il bestiame che gli apparteneva e che aveva
acquistato in Paddan-Aram - per andarsene da suo padre Isacco nel paese di
Canaan. Or mentre Labano se ne era andato a tosare le sue pecore, Rachele
rubò gli idoli di suo padre. Giacobbe ingannò Labano l'Arameo, perché non
gli disse che stava per fuggire. Così se ne fuggì, con tutto quello che
aveva; si levò, passò il fiume e si diresse verso il monte di Galaad.
Labano insegue Giacobbe
(Gb 33:14-17; Sl 105:13-15)(Sl 124; Ge 26:26-31)
Il terzo giorno avvertirono Labano che Giacobbe era fuggito. Allora egli
prese con sé i suoi fratelli, lo inseguì per sette giornate di cammino e lo
raggiunse al monte di Galaad. Ma Dio venne da Labano l'Arameo, di notte, in
un sogno, e gli disse: «Guàrdati dal parlare a Giacobbe, né in bene né in
male». Labano dunque raggiunse Giacobbe. Giacobbe aveva piantato la sua
tenda sul monte; anche Labano e i suoi fratelli avevano piantato le loro sul
monte di Galaad. Allora Labano disse a Giacobbe: «Che hai fatto? Mi hai
ingannato e portato via le mie figlie come prigioniere di guerra. Perché sei
fuggito di nascosto e mi hai ingannato e non mi hai avvertito? Io ti avrei
congedato con gioia e canti, al suono di timpano e di cetra. E non mi hai
neppure permesso di baciare i miei figli e le mie figlie! Tu hai agito da
stolto. Ora è in mio potere di farvi del male, ma il Dio di vostro padre mi
parlò la notte scorsa, dicendo: "Guàrdati dal parlare a Giacobbe, né in bene
né in male". Ora certo te ne sei andato poiché avevi nostalgia della casa di
tuo padre, ma perché hai rubato i miei dèi?» Giacobbe rispose a Labano:
«Avevo paura, perché mi son detto che mi avresti tolto con la forza le tue
figlie. Ma chiunque sia colui presso il quale troverai i tuoi dèi, egli deve
morire! In presenza dei nostri fratelli, riscontra ciò che è tuo fra le cose
mie e prenditelo!» Giacobbe ignorava che Rachele avesse rubato gli idoli.
Labano dunque entrò nella tenda di Giacobbe, nella tenda di Lea e nella
tenda delle due serve, ma non trovò nulla. Uscito dalla tenda di Lea, entrò
nella tenda di Rachele. Ora Rachele aveva preso gli idoli, li aveva messi
nella sella del cammello e si era seduta sopra quelli. Labano frugò tutta la
tenda e non trovò nulla. Lei disse a suo padre: «Il mio signore non si adiri
se io non posso alzarmi davanti a te, perché ho le solite ricorrenze delle
donne». Egli cercò, ma non trovò gli idoli. Allora Giacobbe si adirò e si
mise a litigare con Labano, dicendo: «Qual è il mio delitto, e quale il mio
peccato, perché tu mi abbia inseguito con tanto ardore? Tu hai frugato tutta
la mia roba; che hai trovato di tutta la roba di casa tua? Mettilo qui
davanti ai miei e tuoi fratelli e giudichino loro tra noi due! Ecco, sono
stato con te venti anni, le tue pecore e le tue capre non hanno abortito e
io non ho mangiato i montoni del tuo gregge. Io non ti ho mai portato una
bestia sbranata; ne ho subìto il danno io; tu mi chiedevi conto di quello
che era stato rubato di giorno o rubato di notte. Di giorno, mi consumava il
caldo; di notte, il gelo; il sonno fuggiva dagli occhi miei. Ecco vent'anni
che sono in casa tua; ti ho servito quattordici anni per le tue due figlie e
sei anni per le tue pecore, e tu hai modificato il mio salario dieci volte.
Se il Dio di mio padre, il Dio d'Abraamo e il Terrore d'Isacco non fosse
stato con me, ora tu mi avresti certo rimandato a mani vuote. Dio ha visto
la mia afflizione e la fatica delle mie mani e la notte scorsa ha
pronunziato la sua sentenza». Labano rispose a Giacobbe dicendo: «Queste
figlie sono mie figlie, questi figli sono miei figli, queste pecore sono
pecore mie e tutto quel che vedi è mio. E che posso fare io oggi a queste
mie figlie o ai figli che esse hanno partorito? Or dunque vieni, facciamo un
patto fra me e te ed esso serva di testimonianza fra me e te». Giacobbe
prese una pietra e la eresse come pietra commemorativa. Giacobbe disse ai
suoi fratelli: «Raccogliete delle pietre». Essi presero delle pietre, ne
fecero un mucchio e presso il mucchio mangiarono. Labano chiamò quel mucchio
Iegar-Saaduta e Giacobbe lo chiamò Galed. Labano disse: «Questo mucchio è
oggi testimone fra me e te». Perciò fu chiamato Galed e anche Mispa, perché
Labano disse: «Il SIGNORE tenga l'occhio su di me e su di te quando non ci
vedremo l'un l'altro. Se tu maltratti le mie figlie e se prendi altre mogli
oltre alle mie figlie, non un uomo sarà con noi; ma, bada, Dio sarà
testimone fra me e te». Labano disse ancora a Giacobbe: «Ecco questo mucchio
e la pietra commemorativa che ho eretta fra me e te. Sia questo mucchio
testimone e sia questa pietra commemorativa testimone che io non passerò
oltre questo mucchio per andare da te e che tu non passerai oltre questo
mucchio e questa pietra commemorativa per fare del male. Il Dio d'Abraamo e
il Dio di Naor, il Dio del padre loro, sia giudice tra di noi!» Giacobbe
giurò per il Terrore d'Isacco suo padre. Poi Giacobbe offrì un sacrificio
sul monte e invitò i suoi fratelli a mangiare del pane. Essi dunque
mangiarono del pane e passarono la notte sul monte. La mattina Labano si
alzò di buon'ora, baciò i suoi figli e le sue figlie e li benedisse. Poi
Labano se ne andò e tornò a casa sua.
Giacobbe si prepara a incontrare Esaù
(Sl 91:11; 2R 6:15-17)(Pr 15:1; Ge 33:1-3)
La mattina Labano si alzò di buon ora, baciò i suoi figli e le sue figlie e li
benedisse. Poi Labano se ne andò e tornò a casa sua.
Giacobbe continuò il suo cammino e gli vennero incontro degli angeli di Dio.
Come Giacobbe li vide, disse: «Questo è l'esercito di Dio». E chiamò quel
luogo Maanaim. Giacobbe mandò davanti a sé dei messaggeri a Esaù suo
fratello, nel paese di Seir, nella campagna di Edom. E diede loro
quest'ordine: «Direte queste cose a Esaù mio signore: "Così dice il tuo
servo Giacobbe: Io ho abitato presso Labano e vi sono rimasto fino ad ora;
ho buoi, asini, pecore, servi e serve; lo mando a dire al mio signore, per
trovare grazia ai tuoi occhi"». I messaggeri tornarono da Giacobbe, dicendo:
«Siamo andati da tuo fratello Esaù ed eccolo che ti viene incontro con
quattrocento uomini». Allora Giacobbe fu preso da gran paura e angoscia,
divise in due schiere la gente, le greggi, gli armenti, i cammelli che erano
con lui e disse: «Se Esaù viene contro una delle schiere e la batte, l'altra
che rimane potrà salvarsi».
Sl 50:15 (Ge 31:3; 28:10-15)
Poi Giacobbe disse: «O Dio d'Abraamo mio padre, Dio di mio padre Isacco! O
SIGNORE, che mi dicesti: "Torna al tuo paese, dai tuoi parenti e ti farò del
bene", io sono troppo piccolo per essere degno di tutta la benevolenza che
hai usata e di tutta la fedeltà che hai dimostrata al tuo servo; perché
quando passai questo Giordano avevo solo il mio bastone, e ora ho due
schiere. Liberami, ti prego, dalle mani di mio fratello, dalle mani di Esaù,
perché io ho paura di lui e temo che venga e mi assalga, non risparmiando né
madre né figli. Tu dicesti: "Certo, io ti farò del bene e farò diventare la
tua discendenza come la sabbia del mare, tanto numerosa che non la si può
contare"».
Ge 33:8-11; 1S 25:13-28
Egli rimase là quella notte; e di ciò che possedeva prese di che fare un
dono a suo fratello Esaù: duecento capre e venti becchi, duecento pecore e
venti montoni, trenta cammelle che allattavano e i loro piccoli, quaranta
vacche e dieci tori, venti asine e dieci puledri. Li consegnò ai suoi servi,
gregge per gregge separatamente, e disse ai suoi servi: «Passate davanti a
me e lasciate qualche intervallo tra gregge e gregge». E diede quest'ordine
al primo: «Quando mio fratello Esaù t'incontrerà e ti chiederà: "Di chi sei?
dove vai? a chi appartiene questo gregge che va davanti a te?" tu
risponderai: "Al tuo servo Giacobbe; è un dono inviato al mio signore Esaù:
ecco, egli stesso viene dietro di noi"». Diede lo stesso ordine al secondo,
al terzo e a tutti quelli che seguivano le greggi, dicendo: «In questo modo
parlerete a Esaù, quando lo troverete, e direte: "Ecco il tuo servo
Giacobbe; egli stesso viene dietro a noi"». Perché diceva: «Io lo placherò
con il dono che mi precede e dopo soltanto mi presenterò a lui; forse mi
farà buona accoglienza». Così il dono andò davanti a lui ed egli passò la
notte nell'accampamento. Quella notte si alzò, prese le sue due mogli, le
sue due serve, i suoi undici figli e passò il guado dello Iabboc. Li prese,
fece loro passare il torrente e lo fece passare a tutto quello che
possedeva.
Lotta di Giacobbe con l'angelo a Peniel
Os 12:4-5; 2Co 12:7-10
Giacobbe rimase solo e un uomo lottò con lui fino all'apparire dell'alba;
quando quest'uomo vide che non poteva vincerlo, gli toccò la giuntura
dell'anca, e la giuntura dell'anca di Giacobbe fu slogata, mentre quello
lottava con lui. E l'uomo disse: «Lasciami andare, perché spunta l'alba». E
Giacobbe: «Non ti lascerò andare prima che tu mi abbia benedetto!» L'altro
gli disse: «Qual è il tuo nome?» Ed egli rispose: «Giacobbe». Quello disse:
«Il tuo nome non sarà più Giacobbe, ma Israele, perché tu hai lottato con
Dio e con gli uomini e hai vinto». Giacobbe gli chiese: «Ti prego, svelami
il tuo nome». Quello rispose: «Perché chiedi il mio nome?» E lo benedisse
lì. Giacobbe chiamò quel luogo Peniel, perché disse: «Ho visto Dio faccia a
faccia e la mia vita è stata risparmiata». Il sole si levò quando egli ebbe
passato Peniel; e Giacobbe zoppicava dall'anca. Per questo, fino al giorno
d'oggi, gli Israeliti non mangiano il nervo della coscia che passa per la
giuntura dell'anca, perché quell'uomo aveva toccato la giuntura dell'anca di
Giacobbe, al punto del nervo della coscia.
Riconciliazione di Giacobbe con Esaù
Ge 32
Giacobbe alzò gli occhi, guardò, ed ecco Esaù che veniva avendo con sé
quattrocento uomini. Allora divise i figli tra Lea, Rachele e le due serve.
Mise davanti le serve e i loro figli, poi Lea e i suoi due figli, e infine
Rachele e Giuseppe. Egli stesso passò davanti a loro, e si inchinò fino a
terra sette volte, finché si fu avvicinato a suo fratello. Ed Esaù gli corse
incontro, l'abbracciò, gli si gettò al collo, lo baciò e piansero. Poi Esaù,
alzando gli occhi, vide le donne e i bambini, e disse: «Chi sono questi che
hai con te?» Giacobbe rispose: «Sono i figli che Dio si è compiaciuto di
dare al tuo servo». Allora le serve si avvicinarono con i loro figli e si
inchinarono. Si avvicinarono anche Lea e i suoi figli e si inchinarono. Poi
si avvicinarono Giuseppe e Rachele e s'inchinarono. Allora Esaù disse: «Che
ne vuoi fare di tutta quella schiera che ho incontrato?» Giacobbe rispose:
«È per trovare grazia agli occhi del mio signore». Ed Esaù: «Io ho molta
roba, fratello mio; tieni per te ciò che è tuo». Ma Giacobbe disse: «No, ti
prego, se ho trovato grazia agli occhi tuoi, accetta il dono dalla mia mano,
perché io ho visto il tuo volto come uno vede il volto di Dio, e tu mi hai
fatto buona accoglienza. Ti prego, accetta il mio dono che ti è stato
presentato, perché Dio è stato molto buono con me, e io ho di tutto». E
tanto insistette, che Esaù l'accettò. Poi Esaù disse: «Partiamo,
incamminiamoci, io andrò davanti a te». Giacobbe rispose: «Il mio signore sa
che i bambini sono in tenera età e che ho con me delle pecore e delle vacche
che allattano; se si forzasse la loro andatura anche per un giorno solo, le
bestie morirebbero. Passi dunque il mio signore davanti al suo servo; e io
me ne verrò pian piano, al passo del bestiame che mi precederà, e al passo
dei bambini, finché arrivi presso al mio signore, a Seir». Esaù disse:
«Permetti almeno che io lasci con te un po' della gente che ho con me». Ma
Giacobbe rispose: «E perché questo? Basta che io trovi grazia agli occhi del
mio signore». Così Esaù, in quel giorno stesso, rifece il cammino verso
Seir.
Giacobbe arriva in Canaan
Gs 24:32; Gv 4:5, 12
Giacobbe partì alla volta di Succot, costruì una casa per sé e fece delle
capanne per il suo bestiame; per questo quel luogo fu chiamato Succot. Poi
Giacobbe, tornando da Paddan-Aram, arrivò sano e salvo alla città di Sichem,
nel paese di Canaan, e piantò le tende di fronte alla città. Per cento pezzi
di denaro, comprò dai figli di Camor, padre di Sichem, la parte del campo
dove aveva piantato le sue tende. Eresse qui un altare e lo chiamò
El-Eloè-Israel.
CAPITOLO 34
Rapimento di Dina
I Sichemiti massacrati da Simeone e Levi
1Co 15:33; De 22:28-29; Pr 26:24-26; Ge 49:5-7
Dina, la figlia che Lea aveva partorita a Giacobbe, uscì per vedere le
ragazze del paese. Sichem, figlio di Camor l'Ivveo, principe del paese, la
vide, la rapì e si unì a lei violentandola. Poi egli rimase affezionato a
Dina, figlia di Giacobbe; amò la giovane e parlò al cuore di lei. E disse a
Camor suo padre: «Dammi questa ragazza in moglie». Or Giacobbe udì che
quegli aveva disonorato sua figlia Dina; e siccome i suoi figli erano ai
campi con il suo bestiame, Giacobbe tacque finché non furono tornati.
Intanto Camor, padre di Sichem, si recò da Giacobbe per parlargli. I figli
di Giacobbe, com'ebbero udito il fatto, tornarono dai campi; questi uomini
furono addolorati e fortemente adirati perché costui aveva commesso
un'infamia in Israele, unendosi alla figlia di Giacobbe: cosa che non era da
farsi. Camor parlò loro, dicendo: «Mio figlio Sichem si è innamorato di
vostra figlia; vi prego, dategliela per moglie e imparentatevi con noi;
dateci le vostre figlie e prendete per voi le figlie nostre. Abiterete con
noi e il paese sarà a vostra disposizione; fissate qui la vostra dimora,
trafficate e acquistatevi delle proprietà». Allora Sichem disse al padre e
ai fratelli di Dina: «Possa io trovare grazia agli occhi vostri e vi darò
quello che mi direte. Imponetemi pure una gran dote e molti doni; io ve li
darò come mi direte, ma datemi la ragazza in moglie». I figli di Giacobbe
risposero a Sichem e a suo padre Camor, ma parlarono loro con astuzia,
perché quegli aveva disonorato Dina, loro sorella. Dissero loro: «Questo non
possiamo farlo; non possiamo dare nostra sorella a uno che non è circonciso;
perché ciò sarebbe per noi un disonore. Acconsentiremo alla vostra richiesta
soltanto a questa condizione: se sarete come siamo noi, circoncidendo ogni
maschio tra di voi. Allora vi daremo le nostre figlie e noi ci prenderemo le
figlie vostre, abiteremo con voi e diventeremo un solo popolo. Ma se non
volete ascoltarci e non volete farvi circoncidere, noi prenderemo la nostra
figlia e ce ne andremo». Le loro parole piacquero a Camor, e a Sichem,
figlio di Camor. Il giovane non indugiò a fare la cosa, perché amava la
figlia di Giacobbe; egli era l'uomo più onorato in tutta la casa di suo
padre. Camor e suo figlio Sichem giunsero alla porta della loro città
dicendo: «Questa è gente pacifica in mezzo a noi. Rimanga pure nel paese e
vi traffichi, perché esso è abbastanza ampio per loro. Noi prenderemo le
loro figlie per mogli e daremo loro le nostre. Ma questa gente acconsentirà
ad abitare con noi per formare un solo popolo, a questa condizione: che ogni
nostro maschio sia circonciso, come sono circoncisi loro. I loro armenti, le
loro ricchezze e tutto il loro bestiame non saranno forse nostri?
Acconsentiamo alla loro richiesta ed essi abiteranno con noi». Tutti quelli
che erano venuti alla porta della città diedero ascolto a Camor e a suo
figlio Sichem; ogni maschio si fece circoncidere: ognuno di quelli che erano
venuti alla porta della città. Ma il terzo giorno, mentre quelli erano
sofferenti, due dei figli di Giacobbe, Simeone e Levi, fratelli di Dina,
presero ciascuno la propria spada, assalirono la città che si riteneva
sicura, e uccisero tutti i maschi. Passarono a fil di spada anche Camor e
suo figlio Sichem, presero Dina dalla casa di Sichem, e uscirono. I figli di
Giacobbe si gettarono sugli uccisi e saccheggiarono la città, perché la loro
sorella era stata disonorata; presero le loro greggi, i loro armenti, i loro
asini, quanto era nella città e nei campi. Portarono via come bottino tutte
le loro ricchezze, tutti i loro bambini, le loro mogli e tutto quello che si
trovava nelle case. Allora Giacobbe disse a Simeone e a Levi: «Voi mi
causate grande angoscia, mettendomi in cattiva luce davanti agli abitanti
del paese, ai Cananei e ai Ferezei. Io non ho che pochi uomini; essi si
raduneranno contro di me, mi piomberanno addosso e sarò distrutto io con la
mia casa». Ed essi risposero: «Nostra sorella dovrebbe forse essere trattata
come una prostituta?»
Ge 28:10-22; 48:3-4
Dio disse a Giacobbe: «Àlzati, va' ad abitare a Betel; là farai un altare al
Dio che ti apparve quando fuggivi davanti a tuo fratello Esaù». Allora
Giacobbe disse alla sua famiglia e a tutti quelli che erano con lui:
«Togliete gli dèi stranieri che sono in mezzo a voi, purificatevi e
cambiatevi i vestiti; partiamo, andiamo a Betel; là farò un altare al Dio
che mi esaudì nel giorno della mia angoscia e che è stato con me nel viaggio
che ho fatto». Essi diedero a Giacobbe tutti gli dèi stranieri che erano
nelle loro mani e gli anelli che avevano agli orecchi; Giacobbe li nascose
sotto la quercia che è presso Sichem. Poi partirono. Il terrore di Dio
invase le città che erano intorno a loro, e nessuno inseguì i figli di
Giacobbe. Così Giacobbe e tutta la gente che aveva con sé giunsero a Luz,
cioè Betel, che è nel paese di Canaan. Lì costruì un altare e chiamò quel
luogo El-Betel, perché Dio gli era apparso lì, quando egli fuggiva davanti a
suo fratello. Allora morì Debora, balia di Rebecca, e fu sepolta al di sotto
di Betel, sotto la quercia che fu chiamata Allon-Bacut. Dio apparve ancora a
Giacobbe, quando questi veniva da Paddan-Aram, e lo benedisse. Dio gli
disse: «Il tuo nome è Giacobbe. Tu non sarai più chiamato Giacobbe, ma il
tuo nome sarà Israele». E lo chiamò Israele. Dio gli disse: «Io sono il Dio
onnipotente; sii fecondo e moltìplicati; una nazione, anzi una moltitudine
di nazioni discenderà da te, dei re usciranno dai tuoi lombi; darò a te e
alla tua discendenza dopo di te il paese che diedi ad Abraamo e ad Isacco».
E Dio se ne andò risalendo dal luogo dove gli aveva parlato. Allora Giacobbe
eresse, nel luogo dove Dio gli aveva parlato, un monumento di pietra; vi
fece sopra una libazione e vi sparse su dell'olio. Giacobbe chiamò Betel il
luogo dove Dio gli aveva parlato.
Nascita di Beniamino; morte di Rachele
Ge 3:16; 30:1
Poi partirono da Betel. C'era ancora qualche distanza per arrivare a Efrata,
quando Rachele partorì. Ella ebbe un parto difficile. Mentre penava a
partorire, la levatrice le disse: «Non temere, perché questo è un altro
figlio per te». Mentre l'anima sua se ne andava, perché stava morendo,
chiamò il bimbo Ben-Oni; ma il padre lo chiamò Beniamino. Rachele dunque
morì e fu sepolta sulla via di Efrata, cioè di Betlemme. Giacobbe eresse una
pietra commemorativa sulla tomba di lei. Questa pietra commemorativa della
tomba di Rachele esiste tuttora.
Giacobbe rivede suo padre; morte d'Isacco
Ge 49:3-4 (Ge 29:31-35; 30:1-24)
Poi Israele partì e piantò la sua tenda di là da Migdal-Eder. Mentre Israele
abitava in quel paese, Ruben andò e si unì a Bila, concubina di suo padre, e
Israele venne a saperlo. I figli di Giacobbe erano dodici. I figli di Lea:
Ruben, primogenito di Giacobbe, Simeone, Levi, Giuda, Issacar, Zabulon. I
figli di Rachele: Giuseppe e Beniamino. I figli di Bila, serva di Rachele:
Dan e Neftali. I figli di Zilpa, serva di Lea: Gad e Ascer. Questi sono i
figli di Giacobbe che gli nacquero in Paddan-Aram.
Ge 25:7-10; 49:29-33
Giacobbe venne da Isacco suo padre a Mamre, a Chiriat-Arba, cioè Ebron, dove
Abraamo e Isacco avevano soggiornato. La durata della vita di Isacco fu di
centottant'anni. Poi Isacco spirò, morì e fu riunito al suo popolo, vecchio
e sazio di giorni; Esaù e Giacobbe, suoi figli, lo seppellirono.
(Ge 26:34-35; 28:8-9) De 2:4-5
Questa è la discendenza di Esaù, cioè Edom. Esaù prese le sue mogli tra le
figlie dei Cananei: Ada, figlia di Elon, l'Ittita; Oolibama, figlia di Ana,
figlia di Sibeon, l'Ivveo; e Basmat, figlia d'Ismaele, sorella di Nebaiot.
Ada partorì a Esaù Elifaz. Basmat partorì Reuel; e Oolibama partorì Ieus,
Ialam e Cora. Questi sono i figli di Esaù, che gli nacquero nel paese di
Canaan. Esaù prese le sue mogli, i suoi figli, le sue figlie, tutte le
persone della sua casa, le sue greggi, tutto il suo bestiame e tutti i beni
che aveva messi insieme nel paese di Canaan, se ne andò in un altro paese,
lontano da Giacobbe suo fratello, poiché il loro bestiame era troppo
numeroso perché essi potessero abitare insieme; il paese nel quale
soggiornavano non era loro sufficiente a causa del loro bestiame. Così Esaù
abitò sulla montagna di Seir. Esaù è Edom.
1Cr 1:35-37
Questa è la discendenza di Esaù, padre degli Edomiti, sulla montagna di
Seir. Questi sono i nomi dei figli di Esaù: Elifaz, figlio di Ada, moglie di
Esaù; Reuel, figlio di Basmat, moglie di Esaù. I figli di Elifaz furono:
Teman, Omar, Sefo, Gatam e Chenaz. Timna era la concubina di Elifaz, figlio
di Esaù; ella partorì Amalec a Elifaz. Questi furono i figli di Ada, moglie
di Esaù. Questi furono i figli di Reuel: Naat e Zerac, Samma e Mizza. Questi
furono i figli di Basmat, moglie di Esaù. Questi furono i figli di Oolibama,
figlia di Ana, figlia di Sibeon, moglie di Esaù; ella partorì a Esaù: Ieus,
Ialam e Cora. Questi sono i capi dei figli di Esaù: figli di Elifaz,
primogenito di Esaù: il capo Teman, il capo Omar, il capo Sefo, il capo
Chenaz, il capo Cora, il capo Gatam, il capo Amalec; questi sono i capi
discesi da Elifaz, nel paese di Edom, e sono i figli di Ada. Questi sono i
figli di Reuel, figlio di Esaù: il capo Naat, il capo Zerac, il capo Samma,
il capo Mizza; questi sono i capi discesi da Reuel, nel paese di Edom. E
sono i figli di Basmat, moglie di Esaù. E questi sono i figli di Oolibama,
moglie di Esaù: il capo Ieus, il capo Ialam, il capo Cora; questi sono i
capi discesi da Oolibama, figlia di Ana, moglie di Esaù. Questi sono i figli
di Esaù, che è Edom, e questi sono i loro capi.
1Cr 1:38-42; De 2:12, 22
Questi sono i figli di Seir, il Coreo, che abitavano il paese: Lotan, Sobal,
Sibeon, Ana. Dison, Eser e Disan. Questi sono i capi dei Corei, figli di
Seir, nel paese di Edom. I figli di Lotan furono: Cori e Eman; e la sorella
di Lotan fu Timna. Questi sono i figli di Sobal: Alvan, Manaat, Ebal, Sefo e
Onam. Questi sono i figli di Sibeon: Aia e Ana. Questo è quell'Ana che trovò
le acque calde nel deserto, mentre pascolava gli asini di suo padre Sibeon.
Questi sono i figli di Ana: Dison e Oolibama, figlia di Ana. Questi sono i
figli di Dison: Chemdan, Esban, Itran e Cheran. Questi sono i figli di Eser:
Bilan, Zaavan e Acan. Questi sono i figli di Disan: Us e Aran. Questi sono i
capi dei Corei: il capo Lotan, il capo Sobal, il capo Sibeon, il capo Ana,
il capo Dison, il capo Eser, il capo Disan. Questi sono i capi dei Corei, i
capi che essi ebbero nel paese di Seir.
1Cr 1:43-54
Questi sono i re che regnarono nel paese di Edom, prima che alcun re
regnasse sui figli d'Israele: Bela, figlio di Beor, regnò in Edom, e il nome
della sua città fu Dinaba. Bela morì e Iobab, figlio di Zerac, di Bosra,
regnò al suo posto. Iobab morì e Cusam, del paese dei Temaniti, regnò al suo
posto. Cusam morì e Adad, figlio di Bedad, che sconfisse i Madianiti nei
campi di Moab, regnò al suo posto. E il nome della sua città fu Avit. Adad
morì e Samla di Masreca regnò al suo posto. Samla morì, e Saul di
Recobot-Naar regnò al suo posto. Saul morì e Baal-Canan, figlio di Acbor,
regnò al suo posto. Baal-Canan, figlio di Acbor, morì e Adad regnò al suo
posto. Il nome della sua città fu Pau, e il nome di sua moglie, Meetabeel,
figlia di Matred, figlia di Mezaab. Questi sono i nomi dei capi discendenti
da Esaù, secondo le loro famiglie, secondo i loro territori, con i loro
nomi: il capo Timna, il capo Alva, il capo Ietet, il capo Oolibama, il capo
Ela, il capo Pinon, il capo Chenaz, il capo Teman, il capo Mibsar, il capo
Magdiel, il capo Iram. Questi sono i capi di Edom secondo i loro
insediamenti, nel paese che possedevano. Questo Esaù era il padre degli
Edomiti.
CAPITOLO 37
Giuseppe e i suoi fratelli
(1S 18:6-9; Ge 4:3-24) Pr 18:19 (At 7:9; Ge 45:4-8) Gv 7:5
Giacobbe abitò nel paese dove suo padre aveva soggiornato, nel paese di
Canaan. Questa è la discendenza di Giacobbe. Giuseppe, all'età di
diciassette anni, pascolava il gregge con i suoi fratelli. Egli era giovane
e stava con i figli di Bila e con i figli di Zilpa, mogli di suo padre.
Giuseppe riferì al loro padre la cattiva fama che circolava sul loro conto.
Israele amava Giuseppe più di tutti gli altri suoi figli, perché era il
figlio della sua vecchiaia; e gli fece una veste lunga con le maniche. I
suoi fratelli vedevano che il loro padre l'amava più di tutti gli altri
fratelli; perciò l'odiavano e non potevano parlargli amichevolmente.
I sogni di Giuseppe
Giuseppe fece un sogno e lo raccontò ai suoi fratelli; allora questi lo
odiarono più che mai. Egli disse loro: «Ascoltate, vi prego, il sogno che ho
fatto. Noi stavamo legando dei covoni in mezzo ai campi, ed ecco che il mio
covone si alzò e restò diritto; i vostri covoni si radunarono intorno al mio
covone e gli s'inchinarono davanti». Allora i suoi fratelli gli dissero:
«Regnerai forse tu su di noi o ci dominerai?» E l'odiarono ancor di più a
causa dei suoi sogni e delle sue parole. Egli fece ancora un altro sogno e
lo raccontò ai suoi fratelli, dicendo: «Ho fatto un altro sogno! Il sole, la
luna e undici stelle si inchinavano davanti a me». Egli lo raccontò a suo
padre e ai suoi fratelli; suo padre lo sgridò e gli disse: «Che significa
questo sogno che hai fatto? Dovremo dunque io, tua madre e i tuoi fratelli
venire a inchinarci fino a terra davanti a te?» I suoi fratelli erano
invidiosi di lui, ma suo padre serbava dentro di sé queste parole.
Giuseppe gettato in una cisterna
Or i fratelli di Giuseppe erano andati a pascolare il gregge del padre a
Sichem. Israele disse a Giuseppe: «I tuoi fratelli sono al pascolo a Sichem.
Vieni, ti manderò da loro». Egli rispose: «Eccomi». Israele gli disse: «Va'
a vedere se i tuoi fratelli stanno bene e se tutto procede bene con il
gregge; poi torna a dirmelo». Così lo mandò dalla valle di Ebron, e Giuseppe
arrivò a Sichem. Mentre andava errando per i campi un uomo lo trovò; e
quest'uomo lo interrogò, dicendo: «Che cerchi?» Egli rispose: «Cerco i miei
fratelli; ti prego, dimmi dove sono a pascolare il gregge». Quell'uomo gli
disse: «Sono partiti di qui, perché li ho uditi che dicevano: "Andiamocene a
Dotan"». Giuseppe andò quindi in cerca dei suoi fratelli e li trovò a Dotan.
Essi lo videro da lontano e, prima che egli fosse vicino a loro,
complottarono per ucciderlo. Dissero l'uno all'altro: «Ecco, il sognatore
arriva! Forza, uccidiamolo e gettiamolo in una di queste cisterne; diremo
poi che una bestia feroce l'ha divorato e vedremo che ne sarà dei suoi
sogni». Ruben udì e lo liberò dalle loro mani dicendo: «Non togliamogli la
vita». Poi Ruben aggiunse: «Non spargete sangue; gettatelo in quella
cisterna che è nel deserto, ma non lo colpisca la vostra mano». Diceva così
per liberarlo dalle loro mani e restituirlo a suo padre. Quando Giuseppe fu
giunto presso i suoi fratelli, lo spogliarono della sua veste, della veste
lunga con le maniche, che aveva addosso, lo presero e lo gettarono nella
cisterna. La cisterna era vuota, non c'era acqua.
Giuseppe venduto a degli Ismaeliti
Poi si sedettero per mangiare e, alzando gli occhi, videro una carovana
d'Ismaeliti che veniva da Galaad, con i suoi cammelli carichi di aromi, di
balsamo e di mirra, che scendeva in Egitto. Giuda disse ai suoi fratelli:
«Che ci guadagneremo a uccidere nostro fratello e a nascondere il suo
sangue? Su, vendiamolo agl'Ismaeliti e non lo colpisca la nostra mano,
perché è nostro fratello, nostra carne». I suoi fratelli gli diedero
ascolto. Come quei mercanti madianiti passavano, essi tirarono su Giuseppe,
lo fecero salire dalla cisterna, e lo vendettero per venti sicli d'argento a
quegl'Ismaeliti. Questi condussero Giuseppe in Egitto.
Pr 28:13; Gr 31:15-17; Ge 45:28
Ruben tornò alla cisterna; ed ecco, Giuseppe non era più nella cisterna.
Allora egli si stracciò le vesti, tornò dai suoi fratelli e disse: «Il
ragazzo non c'è più, e io, dove andrò?» Essi presero la veste di Giuseppe,
scannarono un becco e intinsero la veste nel sangue. Poi mandarono uno a
portare al padre loro la veste lunga con le maniche e gli fecero dire:
«Abbiamo trovato questa veste; vedi tu se è quella di tuo figlio, o no».
Egli la riconobbe e disse: «È la veste di mio figlio. Una bestia feroce l'ha
divorato; certamente Giuseppe è stato sbranato». Allora Giacobbe si stracciò
le vesti, si vestì di sacco, e fece cordoglio di suo figlio per molti
giorni. Tutti i suoi figli e tutte le sue figlie vennero a consolarlo; ma
egli rifiutò di essere consolato, e disse: «Io scenderò con cordoglio da mio
figlio, nel soggiorno dei morti». E suo padre lo pianse. Intanto quei
Madianiti vendettero Giuseppe in Egitto a Potifar, ufficiale del faraone,
capitano delle guardie.
1Cr 2:3; De 25:5-10
In quel tempo Giuda si separò dai suoi fratelli e andò a stare da un uomo di
Adullam, di nome Chira. Là Giuda vide la figlia di un Cananeo di nome Sua;
se la prese e si unì a lei. Ella concepì e partorì un figlio, che egli
chiamò Er. Poi ella concepì di nuovo e partorì un figlio, che chiamò Onan.
Partorì ancora un figlio e lo chiamò Sela. Giuda era a Chezib, quando ella
lo partorì. Giuda prese per Er, suo primogenito, una moglie che si chiamava
Tamar. Ma Er, primogenito di Giuda, era perverso agli occhi del SIGNORE; e
il SIGNORE lo fece morire. Allora Giuda disse a Onan: «Va' dalla moglie di
tuo fratello, prenditela in moglie come cognato e suscita una discendenza a
tuo fratello». Onan, sapendo che quei discendenti non sarebbero stati suoi,
quando si accostava alla moglie di suo fratello, faceva in modo d'impedire
il concepimento, per non dare discendenti al fratello. Ciò che egli faceva
dispiacque al SIGNORE, il quale fece morire anche lui. Allora Giuda disse a
Tamar sua nuora: «Rimani vedova in casa di tuo padre, finché Sela, mio
figlio, sia cresciuto». Perché diceva: «Badiamo che anche egli non muoia
come i suoi fratelli». E Tamar se ne andò e abitò in casa di suo padre.
1Cr 2:4-15; Ru 4
Passarono molti giorni e la figlia di Sua, moglie di Giuda, morì; e, dopo
che Giuda si fu consolato, salì da quelli che tosavano le sue pecore a
Timna: c'era con lui il suo amico Chira, l'Adullamita. Tamar ne fu
informata. Le dissero: «Ecco, tuo suocero sale a Timna a tosare le sue
pecore». Allora ella si tolse le vesti da vedova, si coprì d'un velo, se ne
avvolse tutta e si mise seduta alla porta di Enaim che è sulla via di Timna;
infatti, aveva visto che Sela era cresciuto, e tuttavia lei non gli era
stata data in moglie. Come Giuda la vide, la prese per una prostituta,
perché ella aveva il viso coperto. Avvicinatosi a lei sulla via, le disse:
«Lasciami venire da te!» Infatti non sapeva che quella fosse sua nuora. Lei
rispose: «Che mi darai per venire da me?» Egli le disse: «Ti manderò un
capretto del mio gregge». E lei: «Mi darai un pegno finché tu me lo abbia
mandato?» Ed egli: «Che pegno ti darò?» L'altra rispose: «Il tuo sigillo, il
tuo cordone e il bastone che hai in mano». Egli glieli diede, andò da lei ed
ella rimase incinta di lui. Allora Tamar si alzò e se ne andò; si tolse il
velo e si rimise le vesti da vedova. Giuda mandò il capretto per mezzo del
suo amico, l'Adullamita, al fine di ritirare il pegno dalle mani di quella
donna, ma egli non la trovò. Interrogò la gente del luogo, dicendo: «Dov'è
quella prostituta che stava a Enaim, sulla via?» Quelli risposero: «Qui non
c'è stata nessuna prostituta». Egli se ne tornò da Giuda e gli disse: «Non
l'ho trovata e, per di più, la gente del luogo mi ha detto: "Qui non c'è
stata nessuna prostituta"». Giuda disse: «Si tenga pure il pegno, e non
esponiamoci agli scherni! Ecco, io ho mandato questo capretto e tu non l'hai
trovata». Circa tre mesi dopo, vennero a dire a Giuda: «Tamar, tua nuora, si
è prostituita e, per di più, eccola incinta in seguito alla sua
prostituzione». Giuda disse: «Portatela fuori e sia bruciata!» Mentre la
portavano fuori, mandò a dire al suo suocero: «Sono incinta dell'uomo al
quale appartengono queste cose». E disse: «Riconosci, ti prego, di chi siano
questo sigillo, questi cordoni e questo bastone». Giuda li riconobbe e
disse: «È più giusta di me, perché non l'ho data a mio figlio Sela». Ed egli
non ebbe più relazioni con lei. Quando venne il tempo in cui doveva
partorire, ecco che Tamar aveva in grembo due gemelli. Mentre partoriva,
l'uno di essi mise fuori una mano e la levatrice la prese e vi legò un filo
scarlatto, dicendo: «Questo qui esce per primo». Ma egli ritirò la mano, ed
uscì suo fratello. Allora la levatrice disse: «Perché ti sei fatta questa
breccia?» Per questo motivo gli fu messo nome Perez. Poi uscì suo fratello,
che aveva alla mano il filo scarlatto; e fu chiamato Zerac.
1S 18:14; Sl 1:1-3
Giuseppe fu portato in Egitto; e Potifar, ufficiale del faraone, capitano
delle guardie, un Egiziano, lo comprò da quegli Ismaeliti che ce l'avevano
condotto. Il SIGNORE era con Giuseppe: a lui riusciva bene ogni cosa e stava
in casa del suo padrone egiziano. Il suo padrone vide che il SIGNORE era con
lui e che il SIGNORE gli faceva prosperare nelle mani tutto ciò che
intraprendeva. Giuseppe trovò grazia agli occhi di lui e si occupava del
servizio personale di Potifar, il quale lo fece maggiordomo della sua casa e
gli affidò l'amministrazione di tutto quello che possedeva. Dal momento che
l'ebbe fatto maggiordomo della sua casa e gli ebbe affidato tutto quello che
possedeva, il SIGNORE benedisse la casa dell'Egiziano per amore di Giuseppe;
la benedizione del SIGNORE si posò su tutto ciò che egli possedeva, in casa
e in campagna. Potifar lasciò tutto quello che aveva nelle mani di Giuseppe;
non s'occupava più di nulla, tranne del cibo che mangiava. Giuseppe era
avvenente e di bell'aspetto.
Giuseppe in prigione
Ec 7:26; Pr 6:20, ecc.; Gb 31:1-2; Gm 1:12
Dopo queste cose, la moglie del padrone di Giuseppe gli mise gli occhi
addosso e gli disse: «Unisciti a me!» Ma egli rifiutò e disse alla moglie
del suo padrone: «Ecco, il mio padrone non mi chiede conto di quanto è nella
casa e mi ha affidato tutto quello che ha. In questa casa, egli stesso non è
più grande di me e nulla mi ha vietato, se non te, perché sei sua moglie.
Come dunque potrei fare questo gran male e peccare contro Dio?» Benché lei
gliene parlasse ogni giorno, Giuseppe non acconsentì a unirsi né a stare con
lei. Un giorno egli entrò in casa per fare il suo lavoro; lì non c'era
nessuno della gente di casa; allora lei lo afferrò per la veste e gli disse:
«Unisciti a me!» Ma egli le lasciò in mano la veste e fuggì. Quando lei vide
che egli le aveva lasciato la veste in mano e che era fuggito, chiamò la
gente di casa sua e disse: «Vedete, ci ha portato un Ebreo perché questi si
prendesse giuoco di noi; egli è venuto da me per unirsi a me, ma io ho
gridato a gran voce. E com'egli ha udito che io alzavo la voce e gridavo, mi
ha lasciato qui la sua veste ed è fuggito». E si tenne accanto la veste di
lui finché il suo padrone non tornò a casa. Allora gli parlò in questa
maniera: «Quel servo ebreo che hai condotto in casa è venuto da me per
prendersi giuoco di me». Ma appena io ho alzato la voce e ho gridato, egli
mi ha lasciato qui la sua veste ed è fuggito. Quando il padrone di Giuseppe
udì le parole di sua moglie che gli diceva: «Il tuo servo mi ha fatto
questo!» si accese d'ira. Il padrone di Giuseppe lo prese e lo mise nella
prigione, nel luogo dove si tenevano chiusi i carcerati del re. Egli era
dunque là in quella prigione.
Sl 105:18-19; 1P 2:19-20
E il SIGNORE fu con Giuseppe, gli mostrò il suo favore e gli fece trovar
grazia agli occhi del governatore della prigione. Così il governatore della
prigione affidò alla sorveglianza di Giuseppe tutti i detenuti che erano nel
carcere; e nulla si faceva senza di lui. Il governatore della prigione non
rivedeva niente di quello che era affidato a lui, perché il SIGNORE era con
lui, e il SIGNORE faceva prosperare tutto quello che egli intraprendeva.
Ge 39:20-23; 41:1-32; Gc 7:13-14
Dopo queste cose, il coppiere e il panettiere del re d'Egitto offesero il
loro signore, il re d'Egitto. Il faraone s'indignò contro i suoi due
ufficiali, contro il capo dei coppieri e il capo dei panettieri; e li fece
mettere in carcere nella casa del capo delle guardie, nella stessa prigione
dove Giuseppe stava rinchiuso. Il capitano delle guardie li affidò alla
sorveglianza di Giuseppe, il quale li serviva. Essi rimasero in prigione per
un certo tempo. In una medesima notte, il coppiere e il panettiere del re
d'Egitto, che erano rinchiusi nella prigione, ebbero tutti e due un sogno,
un sogno per uno, e ciascun sogno aveva il suo significato particolare.
Giuseppe, venuto la mattina da loro, li guardò e li vide tutti turbati.
Interrogò allora gli ufficiali del faraone che erano con lui in prigione
nella casa del suo padrone, e disse: «Perché oggi avete il viso così
triste?» Quelli gli risposero: «Abbiamo fatto un sogno e non c'è nessuno che
ce lo interpreti». Giuseppe disse loro: «Le interpretazioni non appartengono
a Dio? Raccontatemi i sogni, vi prego». Allora il capo dei coppieri raccontò
il suo sogno a Giuseppe e gli disse: «Nel mio sogno, mi stava davanti una
vite; in quella vite c'erano tre tralci; mi pareva che essa germogliasse,
poi fiorisse, e desse infine dei grappoli d'uva matura. Io avevo in mano la
coppa del faraone; presi l'uva, la spremetti nella coppa del faraone e diedi
la coppa in mano al faraone». Giuseppe gli disse: «Questa è
l'interpretazione del sogno: i tre tralci sono tre giorni; fra tre giorni il
faraone ti farà rialzare il capo, ti ristabilirà nel tuo incarico e tu darai
in mano al faraone la sua coppa, come facevi prima, quando eri suo coppiere.
Ma ricordati di me, quando sarai felice, e sii buono verso di me, ti prego;
parla di me al faraone e fammi uscire da questa casa, perché io fui portato
via di nascosto dal paese degli Ebrei e anche qui non ho fatto nulla per
essere messo in questo sotterraneo». Il capo dei panettieri, vedendo che
l'interpretazione era favorevole, disse a Giuseppe: «Anch'io! Nel mio sogno
avevo tre canestri di pane bianco sul capo; nel canestro più alto c'era per
il faraone ogni sorta di vivande cotte al forno; e gli uccelli le mangiavano
dentro al canestro sul mio capo». Giuseppe rispose e disse: «Questa è
l'interpretazione del sogno: i tre canestri sono tre giorni. Ancora tre
giorni e il faraone alzerà la tua testa, ti farà impiccare a un albero e gli
uccelli mangeranno la tua carne addosso a te». Il terzo giorno, che era il
compleanno del faraone, egli fece un banchetto per tutti i suoi servitori e
alzò la testa al capo dei coppieri e la testa al capo dei panettieri in
mezzo ai suoi servitori: ristabilì il capo dei coppieri nel suo ufficio di
coppiere, perché mettesse la coppa in mano al faraone, ma fece impiccare il
capo dei panettieri, secondo l'interpretazione che Giuseppe aveva loro data.
Il gran coppiere però non si ricordò di Giuseppe e lo dimenticò.
CAPITOLO 41
Giuseppe davanti al faraone
Ge 40; Da 2; 4; La 3:26
Alla fine di due anni interi, il faraone fece un sogno. Egli stava presso il
Fiume; e dal Fiume ecco salire sette vacche, di bell'aspetto e grasse, che
si misero a pascolare nella giuncaia. Dopo quelle, ecco salire dal Fiume
altre sette vacche di brutto aspetto e scarne, che si fermarono accanto alle
prime, sulla riva del Fiume. Le vacche di brutto aspetto e scarne divorarono
le sette vacche di bell'aspetto e grasse. E il faraone si svegliò. Poi si
riaddormentò e sognò di nuovo: ecco sette spighe, grosse e belle, venir su
da un unico stelo. Poi, ecco germogliare sette spighe sottili e arse dal
vento orientale che germogliavano dopo quelle altre. Le spighe sottili
inghiottirono le sette spighe grosse e piene. E il faraone si svegliò: era
un sogno. La mattina, lo spirito del faraone fu turbato; egli mandò a
chiamare tutti i maghi e tutti i savi d'Egitto e raccontò loro i suoi sogni,
ma non ci fu nessuno che li potesse interpretare al faraone. Allora il capo
dei coppieri parlò al faraone, dicendo: «Ricordo oggi le mie colpe. Il
faraone si era sdegnato contro i suoi servitori e mi aveva fatto mettere in
prigione, nella casa del capo delle guardie: me e il capo dei panettieri.
L'uno e l'altro facemmo un sogno nella stessa notte: facemmo ciascuno un
sogno con un significato particolare. Lì con noi c'era un giovane ebreo,
servo del capo delle guardie; a lui raccontammo i nostri sogni ed egli ce li
interpretò, dando a ciascuno l'interpretazione del suo sogno. E le cose
avvennero secondo l'interpretazione che egli ci aveva data: il faraone
ristabilì me nel mio incarico e l'altro lo fece impiccare». Allora il
faraone mandò a chiamare Giuseppe. Lo fecero subito uscire dalla prigione
sotterranea. Egli si rase, si cambiò il vestito e andò dal faraone. Il
faraone disse a Giuseppe: «Ho fatto un sogno e non c'è chi lo possa
interpretare. Ho udito dire di te che, quando ti raccontano un sogno, tu lo
puoi interpretare». Giuseppe rispose al faraone dicendo: «Non sono io, ma
sarà Dio che darà al faraone una risposta favorevole». Allora il faraone
disse a Giuseppe: «Nel mio sogno io stavo sulla riva del Fiume; quand'ecco
salire dal Fiume sette vacche grasse e di bell'aspetto e che si misero a
pascolare nella giuncaia. Dopo quelle, ecco salire altre sette vacche,
magre, di bruttissimo aspetto e scarne: tali, che non ne vidi mai di così
brutte in tutto il paese d'Egitto. Le vacche magre e brutte divorarono le
prime sette vacche grasse; e queste entrarono loro in corpo e non si
riconobbe che vi erano entrate; erano di brutto aspetto come prima. E mi
svegliai. Poi vidi ancora nel mio sogno sette spighe venire su da un unico
stelo, piene e belle; ed ecco germogliare altre sette spighe, vuote, sottili
e arse dal vento orientale, dopo quelle altre. Le spighe sottili
inghiottirono le sette spighe belle. Io ho raccontato questo ai maghi, ma
non c'è stato nessuno che abbia saputo spiegarmelo». Allora Giuseppe disse
al faraone: «Ciò che il faraone ha sognato è una stessa cosa. Dio ha
indicato al faraone quello che sta per fare. Le sette vacche belle sono
sette anni e le sette spighe belle sono sette anni; è uno stesso sogno. Le
sette vacche magre e brutte che salivano dopo quelle altre, sono sette anni;
come pure le sette spighe vuote e arse dal vento orientale saranno sette
anni di carestia. Questo è quello che ho detto al faraone: Dio ha mostrato
al faraone quello che sta per fare. Ecco, stanno per venire sette anni di
grande abbondanza in tutto il paese d'Egitto. Dopo verranno sette anni di
carestia; tutta quell'abbondanza sarà dimenticata nel paese d'Egitto e la
carestia consumerà il paese. Uno non conoscerà più di quell'abbondanza nel
paese, a causa della carestia che seguirà, perché questa sarà molto dura. Il
fatto che il sogno si sia ripetuto due volte al faraone vuol dire che la
cosa è decretata da Dio e che Dio l'eseguirà presto. Or dunque il faraone si
provveda di un uomo intelligente e saggio, e lo stabilisca sul paese
d'Egitto. Il faraone faccia così: costituisca dei commissari sul paese per
prelevare il quinto delle raccolte del paese d'Egitto durante i sette anni
d'abbondanza. Essi raccolgano tutti i viveri di queste sette annate buone
che stanno per venire e ammassino il grano a disposizione del faraone per
l'approvvigionamento delle città, e lo conservino. Questi viveri saranno una
riserva per il paese, in vista dei sette anni di carestia che verranno nella
terra d'Egitto; così il paese non perirà per la carestia».
Giuseppe fatto vicerè d'Egitto
(Sl 105:17-22; 113:7-8; At 7:9-10; Ge 45:4-8) Fl 2:9-11
La cosa piacque al faraone e a tutti i suoi servitori. Il faraone disse ai
suoi servitori: «Potremmo forse trovare un uomo pari a questo, in cui sia lo
spirito di Dio?» Così il faraone disse a Giuseppe: «Poiché Dio ti ha fatto
conoscere tutto questo, non c'è nessuno che sia intelligente e savio quanto
te. Tu avrai autorità su tutta la mia casa e tutto il popolo ubbidirà ai
tuoi ordini; per il trono soltanto io sarò più grande di te». Il faraone
disse ancora a Giuseppe: «Vedi, io ti do potere su tutto il paese d'Egitto».
Poi il faraone si tolse l'anello dal dito e lo mise al dito di Giuseppe; lo
fece vestire di abiti di lino fino e gli mise al collo una collana d'oro. Lo
fece salire sul suo secondo carro e davanti a lui si gridava: «In
ginocchio!» Così il faraone gli diede autorità su tutto il paese d'Egitto.
Il faraone disse a Giuseppe: «Io sono il faraone! Ma senza tuo ordine,
nessuno alzerà la mano o il piede in tutto il paese d'Egitto». Il faraone
chiamò Giuseppe Safnat-Paneac e gli diede per moglie Asenat, figlia di
Potifera, sacerdote di On. Giuseppe partì per visitare il paese d'Egitto.
Giuseppe aveva trent'anni quando si presentò davanti al faraone, re
d'Egitto. Giuseppe uscì dalla presenza del faraone e percorse tutto il paese
d'Egitto. Durante i sette anni di abbondanza la terra produsse a profusione;
Giuseppe raccolse tutti i viveri che furono prodotti nel paese d'Egitto in
quei sette anni e li immagazzinò nelle città; immagazzinò in ogni città i
viveri del territorio circostante. Così Giuseppe ammassò grano come la
sabbia del mare: in così gran quantità, che si smise di contarlo, perché era
incalcolabile.
Nascita di Manasse e d'Efraim
Ge 48; 47:13-26
Prima che venisse il primo anno della carestia, nacquero a Giuseppe due
figli, che Asenat, figlia di Potifera, sacerdote di On, gli partorì.
Giuseppe chiamò il primogenito Manasse, perché disse: «Dio mi ha fatto
dimenticare ogni mio affanno e tutta la casa di mio padre». Il secondo lo
chiamò Efraim, perché, disse: «Dio mi ha reso fecondo nel paese della mia
afflizione». I sette anni d'abbondanza che c'erano stati nel paese d'Egitto
finirono e cominciarono a venire i sette anni di carestia, come Giuseppe
aveva detto. Ci fu carestia in tutti i paesi, ma in tutto il paese d'Egitto
c'era del pane. Poi la carestia si estese a tutto il paese d'Egitto e il
popolo gridò al faraone per avere del pane. Il faraone disse a tutti gli
Egiziani: «Andate da Giuseppe e fate quello che vi dirà». La carestia era su
tutta la superficie del paese e Giuseppe aprì tutti i depositi e vendette
grano agli Egiziani. La carestia s'aggravò nel paese d'Egitto. Da tutti i
paesi venivano in Egitto, da Giuseppe, per comprare grano, perché la
carestia era grave su tutta la terra.
CAPITOLO 42
I fratelli di Giuseppe in Egitto
Ge 41:54-57; At 7:11-12
Giacobbe seppe che c'era grano in Egitto; allora disse ai suoi figli:
«Perché state a guardarvi l'un l'altro?» Poi disse: «Ecco, ho sentito dire
che c'è grano in Egitto; scendete là a comprarne, così vivremo e non
moriremo». Così dieci dei fratelli di Giuseppe scesero in Egitto per
comprarvi il grano. Ma Giacobbe non mandò con loro Beniamino, il fratello di
Giuseppe, perché diceva: «Che non gli succeda qualche disgrazia!» I figli
d'Israele giunsero per comprare grano in mezzo agli altri che erano venuti;
perché nel paese di Canaan c'era la carestia.
Ge 37:5-30; Gb 36:8-10
Or Giuseppe era colui che comandava nel paese; era lui che vendeva il grano
a tutta la gente del paese; i fratelli di Giuseppe vennero e si inchinarono
davanti a lui con la faccia a terra. Giuseppe vide i suoi fratelli e li
riconobbe, ma si comportò come un estraneo davanti a loro e parlò loro
aspramente dicendo: «Da dove venite?» Essi risposero: «Dal paese di Canaan
per comprare dei viveri». Giuseppe riconobbe i suoi fratelli, ma essi non
riconobbero lui. Giuseppe si ricordò dei sogni che aveva avuto riguardo a
loro e disse: «Voi siete delle spie! Siete venuti per vedere i luoghi
indifesi del paese!» Ed essi a lui: «No, mio signore, i tuoi servi sono
venuti a comprare dei viveri. Siamo tutti figli di uno stesso uomo. Siamo
gente sincera. I tuoi servi non sono delle spie». Ma egli disse: «No, siete
venuti per vedere i luoghi indifesi del paese!» Quelli risposero: «Noi, tuoi
servi, siamo dodici fratelli, figli di uno stesso uomo, del paese di Canaan.
Ecco, il più giovane è oggi con nostro padre, e uno non è più». E Giuseppe
disse loro: «La cosa è come v'ho detto; siete delle spie! Ecco come sarete
messi alla prova: per la vita del faraone, non uscirete di qui fin tanto che
non sarà arrivato il vostro fratello più giovane. Mandate uno di voi a
prendere vostro fratello e voi resterete qui in carcere, perché le vostre
parole siano messe alla prova e si veda se c'è del vero in voi; se no, per
la vita del faraone, siete delle spie!» E li mise assieme in prigione per
tre giorni. Il terzo giorno, Giuseppe disse loro: «Fate questo e vivrete; io
temo Dio! Se siete gente sincera, uno di voi fratelli resti qui incatenato
nella vostra prigione; e voi andate, portate il grano necessario alle vostre
famiglie. Poi conducetemi il vostro fratello più giovane; così le vostre
parole saranno verificate e voi non morirete». Ed essi fecero così. Allora
si dicevano l'uno all'altro: «Sì, noi fummo colpevoli verso nostro fratello,
giacché vedemmo la sua angoscia quando egli ci supplicava, ma non gli demmo
ascolto! Ecco perché ci viene addosso quest'angoscia». Ruben rispose loro:
«Non ve lo dicevo io: "Non commettete questo peccato contro il ragazzo?" Ma
voi non voleste darmi ascolto. Perciò, ecco, il suo sangue ci è
ridomandato». Ora essi non sapevano che Giuseppe li capiva, perché tra lui e
loro c'era un interprete. Ed egli si allontanò da loro, e pianse. Poi tornò,
parlò con quelli e prese tra di loro Simeone, che fece incatenare sotto i
loro occhi.
Ro 12:17-20; Sl 53:6; Ge 37:31-35
Poi Giuseppe ordinò che si riempissero di grano i loro sacchi, che si
rimettesse il denaro di ciascuno nel suo sacco e che si dessero loro delle
provviste per il viaggio. E così fu fatto. Essi caricarono il loro grano sui
loro asini e partirono. Or uno di essi aprì il suo sacco per dare del
foraggio al suo asino, nel luogo dove pernottavano, e vide il suo denaro
alla bocca del sacco; egli disse ai suoi fratelli: «Il mio denaro mi è stato
restituito, eccolo qui nel mio sacco». Allora si sentirono mancare il cuore
e, tremando, dicevano l'uno all'altro: «Che cos'è mai questo che Dio ci ha
fatto?» E giunsero da Giacobbe, loro padre, nel paese di Canaan e gli
raccontarono tutto quello che era loro accaduto, dicendo: «L'uomo che è il
signore del paese ci ha parlato aspramente e ci ha trattati come spie del
paese. Noi gli abbiamo detto: "Siamo gente sincera; non siamo delle spie;
siamo dodici fratelli, figli di nostro padre; uno non è più, e il più
giovane è oggi con nostro padre nel paese di Canaan". Quell'uomo, signore
del paese, ci ha detto: "Da questo saprò se siete gente sincera: lasciate
presso di me uno dei vostri fratelli, prendete quello che vi occorre per le
vostre famiglie, partite e portatemi vostro fratello più giovane. Allora
conoscerò che non siete delle spie, ma gente sincera: io vi renderò vostro
fratello e voi potrete trafficare nel paese"». Mentre essi vuotavano i loro
sacchi, ecco che in ciascun sacco c'era il sacchetto con il denaro; essi e
il padre loro videro i sacchetti con il loro denaro e furono presi da paura.
Giacobbe, loro padre, disse: «Voi mi avete privato dei miei figli! Giuseppe
non è più, Simeone non è più, e mi volete togliere anche Beniamino! Tutte
queste cose pesano su di me!» Ruben disse a suo padre: «Se non te lo
riconduco, fa' morire i miei due figli! Affidalo a me, io te lo ricondurrò».
Giacobbe rispose: «Mio figlio non scenderà con voi; perché suo fratello è
morto, e questo solo è rimasto: se gli succedesse qualche disgrazia durante
il vostro viaggio, fareste scendere con tristezza i miei capelli bianchi nel
soggiorno dei morti».
CAPITOLO 43
Secondo viaggio dei fratelli di Giuseppe in Egitto
Ge 42:29-38; 44:24-34; cfr. 37:26-28
Or la carestia era grave nel paese. Quando ebbero finito di mangiare il
grano che avevano portato dall'Egitto, il padre disse loro: «Tornate a
comprare un po' di viveri». E Giuda rispose: «Quell'uomo ce lo dichiarò
categoricamente: "Non vedrete la mia faccia, se vostro fratello non sarà con
voi". Se tu mandi nostro fratello con noi, scenderemo e ti compreremo dei
viveri; ma se non lo mandi, non scenderemo, perché quell'uomo ci ha detto:
"Non vedrete la mia faccia, se vostro fratello non sarà con voi"». Israele
disse: «Perché mi avete fatto questo torto di dire a quell'uomo che avevate
ancora un fratello?» Quelli risposero: «Quell'uomo c'interrogò
minuziosamente intorno a noi e al nostro parentado, dicendo: "Vostro padre
vive ancora? Avete qualche altro fratello?" Noi gli rispondemmo secondo le
sue domande. Non potevamo sapere che ci avrebbe detto: "Fate venire vostro
fratello!"» Giuda disse a suo padre Israele: «Lascia venire il ragazzo con
me; ci leveremo e andremo, così vivremo e non moriremo: né noi, né tu, né i
nostri piccini. Io mi rendo garante di lui. Ridomandane conto alla mia mano.
Se non te lo riconduco e non te lo rimetto davanti, io sarò per sempre
colpevole verso di te. Se non avessimo indugiato, a quest'ora saremmo già
tornati due volte». Allora Israele, loro padre, disse loro: «Se così è, fate
questo: prendete nei vostri sacchi le cose più squisite di questo paese e
portate a quell'uomo un dono: un po' di balsamo, un po' di miele, degli
aromi e della mirra, dei pistacchi e delle mandorle. Prendete con voi il
doppio del denaro, e riportate il denaro che fu rimesso alla bocca dei
vostri sacchi; forse fu un errore. Prendete anche vostro fratello e andate,
tornate da quell'uomo. Dio onnipotente vi faccia trovar grazia davanti a
quell'uomo, così che egli vi rilasci l'altro vostro fratello e Beniamino. Se
devo essere privato dei miei figli, che io lo sia!»
Ro 12:19-21; 1Te 5:15
Quelli presero dunque questo dono, presero con sé il doppio del denaro e
Beniamino, e partirono; scesero in Egitto e si presentarono davanti a
Giuseppe. Come Giuseppe vide Beniamino con loro, disse al suo maggiordomo:
«Conduci questi uomini in casa, macella e prepara tutto, perché questi
uomini mangeranno con me a mezzogiorno». L'uomo fece come Giuseppe aveva
ordinato e li condusse in casa di Giuseppe. E quelli ebbero paura, perché
venivano condotti in casa di Giuseppe, e dissero: «Siamo portati qui a
motivo di quel denaro che ci fu rimesso nei sacchi la prima volta; egli
vuole darci addosso, piombare su di noi e prenderci come schiavi, con i
nostri asini». Avvicinatisi al maggiordomo di Giuseppe, gli parlarono sulla
porta della casa e dissero: «Scusa, signor mio! Noi scendemmo già una prima
volta a comprare dei viveri, e avvenne che, quando fummo giunti al luogo
dove pernottammo, aprimmo i sacchi, ed ecco il denaro di ciascuno di noi era
alla bocca del suo sacco: il nostro denaro del peso esatto; e l'abbiamo
riportato con noi. Ma abbiamo portato con noi altro denaro per comprare dei
viveri. Non sappiamo chi abbia messo il nostro denaro nei nostri sacchi».
Egli disse: «Datevi pace, non temete; il vostro Dio e il Dio di vostro padre
ha messo un tesoro nei vostri sacchi. Io ho avuto il vostro denaro». E,
fatto uscire Simeone, lo condusse da loro. Quell'uomo li fece entrare in
casa di Giuseppe, diede loro dell'acqua, ed essi si lavarono i piedi; ed
egli diede del foraggio ai loro asini. Poi essi prepararono il dono,
aspettando che Giuseppe venisse a mezzogiorno; perché avevano sentito che
sarebbero rimasti lì a mangiare. Quando Giuseppe venne a casa, quelli gli
porsero il dono, che avevano portato con sé nella casa, e s'inchinarono fino
a terra davanti a lui. Egli domandò loro come stavano e disse: «Vostro
padre, il vecchio di cui mi parlaste, sta bene? Vive ancora?» Quelli
risposero: «Nostro padre tuo servo sta bene, vive ancora». Poi s'inchinarono
e gli fecero riverenza. Giuseppe alzò gli occhi, vide Beniamino suo
fratello, figlio di sua madre, e disse: «È questo il vostro fratello più
giovane di cui mi avete parlato?» Poi disse a lui: «Dio ti sia propizio,
figlio mio!» E Giuseppe s'affrettò a uscire, perché si era commosso
nell'intimo per suo fratello; cercava un luogo dove piangere; entrò nella
sua camera e pianse. Poi si lavò la faccia e uscì, si fece forza e disse:
«Portate il pranzo». Fu dunque portato il cibo per lui a parte, per loro a
parte e per gli Egiziani che mangiavano con loro a parte; perché gli
Egiziani non possono mangiare con gli Ebrei; per gli Egiziani è cosa
abominevole. Ma essi sedevano di fronte a lui, dal primogenito, secondo il
suo diritto di primogenitura, fino al più giovane secondo la sua età; e si
guardavano l'un l'altro stupiti. Giuseppe fece loro portare delle vivande
che aveva davanti a sé; ma la porzione di Beniamino era cinque volte
maggiore di quella d'ogni altro di loro. Bevvero e stettero allegri con lui.
CAPITOLO 44
Giuseppe mette alla prova i suoi fratelli
De 8:2, 16
Giuseppe diede quest'ordine al suo maggiordomo: «Riempi i sacchi di questi
uomini di tanti viveri quanti ne possono portare e metti il denaro di
ciascuno di loro alla bocca del suo sacco. Metti la mia coppa, la coppa
d'argento, alla bocca del sacco del più giovane, assieme al denaro del suo
grano». Ed egli fece come Giuseppe aveva detto. La mattina, appena fu
giorno, quegli uomini furono fatti partire con i loro asini. Quando furono
usciti dalla città e non erano ancora lontani, Giuseppe disse al suo
maggiordomo: «Parti, vai dietro a quegli uomini e quando li avrai raggiunti
dirai loro: "Perché avete reso male per bene? Non è quella la coppa dalla
quale il mio signore beve e di cui si serve per trarre presagi? Avete fatto
male a fare questo!"» Egli li raggiunse e disse loro quelle parole. Essi gli
risposero: «Perché il mio signore ci rivolge parole come queste? Dio
preservi i tuoi servi dal fare una cosa simile. Ecco noi ti abbiamo
riportato dal paese di Canaan il denaro che avevamo trovato alla bocca dei
nostri sacchi; come dunque avremmo rubato dell'argento o dell'oro dalla casa
del tuo signore? Quello dei tuoi servi presso il quale si troverà la coppa
sia messo a morte e noi pure saremo schiavi del tuo signore!» Ed egli disse:
«Ebbene, sia fatto come dite: colui presso il quale essa sarà trovata, sarà
mio schiavo e voi sarete innocenti». In tutta fretta, ognuno di loro scaricò
a terra il proprio sacco, e ciascuno aprì il suo. Il maggiordomo li frugò,
cominciando da quello del maggiore, per finire con quello del più giovane;
la coppa fu trovata nel sacco di Beniamino. Allora quelli si stracciarono le
vesti, ognuno ricaricò il suo asino e tornarono alla città. Giuda e i suoi
fratelli arrivarono alla casa di Giuseppe, il quale era ancora lì; si
gettarono con la faccia a terra davanti a lui. Giuseppe disse loro: «Che
azione è questa che avete fatto? Non lo sapete che un uomo come me ha il
potere di indovinare?» Giuda rispose: «Che diremo al mio signore? Quali
parole useremo? O come ci giustificheremo? Dio ha trovato l'iniquità dei
tuoi servi. Ecco, siamo schiavi del mio signore: tanto noi, quanto colui in
mano del quale è stata trovata la coppa». Ma Giuseppe disse: «Dio mi guardi
dal far questo! L'uomo nella cui mano è stata trovata la coppa, lui sarà mio
schiavo; quanto a voi, tornate in pace da vostro padre».
Ge 42:29-38; 43:1-14
Allora Giuda si avvicinò a Giuseppe e disse: «Mio signore, permetti al tuo
servo di fare udire una parola al mio signore. La tua ira non si accenda
contro il tuo servo, poiché tu sei come il faraone. Il mio signore interrogò
i suoi servi, dicendo: "Avete un padre o un fratello?" Noi rispondemmo al
mio signore: "Abbiamo un padre che è vecchio, con un giovane figlio, natogli
nella vecchiaia; il fratello di questi è morto, è rimasto lui soltanto dei
figli di sua madre, e suo padre lo ama". Allora tu dicesti ai tuoi servi:
"Fatelo scendere da me perché io lo veda con i miei occhi". Noi dicemmo al
mio signore: "Il ragazzo non può lasciare suo padre perché, se lo lasciasse,
suo padre morirebbe". Tu dicesti ai tuoi servi: "Se il vostro fratello più
giovane non scende con voi, voi non vedrete più la mia faccia". Come fummo
risaliti da mio padre, tuo servo, gli riferimmo le parole del mio signore.
Poi nostro padre disse: "Tornate a comprare un po' di viveri". E noi
rispondemmo: "Non possiamo scendere laggiù; se il nostro fratello più
giovane verrà con noi, scenderemo; perché non possiamo vedere la faccia di
quell'uomo, se il nostro fratello più giovane non è con noi". Mio padre, tuo
servo, ci rispose: "Voi sapete che mia moglie mi partorì due figli; uno di
questi partì da me, e io dissi: «Certamente, egli è stato sbranato»; e non
l'ho più visto da allora; se mi togliete anche questo, se gli capita qualche
disgrazia, voi farete scendere con tristezza i miei capelli bianchi nel
soggiorno dei morti". Or dunque, quando giungerò da mio padre, tuo servo, se
il ragazzo, alla vita del quale la sua è legata, non è con noi, avverrà che,
come avrà visto che il ragazzo non c'è, egli morirà e i tuoi servi avranno
fatto scendere con tristezza i capelli bianchi del tuo servo, nostro padre,
nel soggiorno dei morti. Siccome il tuo servo si è reso garante del ragazzo
presso mio padre e gli ha detto: "Se non te lo riconduco, sarò per sempre
colpevole verso mio padre", ti prego, permetti ora che il tuo servo rimanga
schiavo del mio signore invece del ragazzo e che il ragazzo se ne torni con
i suoi fratelli. Altrimenti, come farei a risalire da mio padre senza avere
il ragazzo con me? Ah, che io non veda il dolore che ne verrebbe a mio
padre».
CAPITOLO 45
Giuseppe riconosciuto dai fratelli
(Ge 44:33-34; At 7:13) Ef 4:32-5:2
Allora Giuseppe non potè più contenersi davanti a tutto il suo seguito e
gridò: «Fate uscire tutti dalla mia presenza!» Nessuno rimase con Giuseppe
quando egli si fece riconoscere dai suoi fratelli. Alzò la voce piangendo;
gli Egiziani lo udirono e l'udì la casa del faraone. Giuseppe disse ai suoi
fratelli: «Io sono Giuseppe; mio padre vive ancora?» Ma i suoi fratelli non
gli potevano rispondere, perché erano atterriti dalla sua presenza. Giuseppe
disse ai suoi fratelli: «Vi prego, avvicinatevi a me!» Quelli s'avvicinarono
ed egli disse: «Io sono Giuseppe, vostro fratello, che voi vendeste perché
fosse portato in Egitto. Ma ora non vi rattristate, né vi dispiaccia di
avermi venduto perché io fossi portato qui; poiché Dio mi ha mandato qui
prima di voi per conservarvi in vita. Infatti, sono due anni che la carestia
è nel paese e ce ne saranno altri cinque, durante i quali non ci sarà
raccolto né mietitura. Ma Dio mi ha mandato qui prima di voi, perché sia
conservato di voi un residuo sulla terra e per salvare la vita a molti
scampati. Non siete dunque voi che mi avete mandato qui, ma è Dio. Egli mi
ha stabilito come padre del faraone, signore di tutta la sua casa e
governatore di tutto il paese d'Egitto. Affrettatevi a risalire da mio padre
e ditegli: "Così dice tuo figlio Giuseppe: Dio mi ha stabilito signore di
tutto l'Egitto; scendi da me, non tardare; tu abiterai nel paese di Goscen e
sarai vicino a me: tu e i tuoi figli, i figli dei tuoi figli, le tue greggi,
i tuoi armenti e tutto quello che possiedi. Qui io ti sostenterò (perché ci
saranno ancora cinque anni di carestia), affinché tu non sia ridotto in
miseria: tu, la tua famiglia e tutto quello che possiedi". Ecco, voi vedete
con i vostri occhi, e mio fratello Beniamino vede con i suoi occhi, che è
proprio la mia bocca quella che vi parla. Raccontate dunque a mio padre
tutta la mia gloria in Egitto e tutto quello che avete visto; e fate che mio
padre scenda presto qua». Poi si gettò al collo di Beniamino, suo fratello,
e pianse; e Beniamino pianse sul collo di lui. Baciò pure tutti i suoi
fratelli, piangendo. Dopo questo, i suoi fratelli si misero a parlare con
lui.
Gen 46:1-7, 28-30
Intanto la voce si diffuse nella casa del faraone, e si disse: «Sono
arrivati i fratelli di Giuseppe». Questo piacque al faraone e ai suoi
servitori. Il faraone disse a Giuseppe: «Di' ai tuoi fratelli: "Fate questo:
caricate le vostre bestie e andate, tornate al paese di Canaan; prendete
vostro padre, le vostre famiglie e venite da me; io vi darò il meglio del
paese d'Egitto e voi mangerete il grasso della terra". Tu hai l'ordine di
dire loro: "Fate questo: prendete nel paese d'Egitto dei carri per i vostri
bambini e per le vostre mogli; conducete vostro padre e venite. E non vi
rincresca di lasciare la vostra roba; perché il meglio di tutto il paese
d'Egitto sarà vostro"». I figli d'Israele fecero così e Giuseppe diede loro
dei carri, secondo l'ordine del faraone, e diede loro delle provviste per il
viaggio. Diede un abito di ricambio per ciascuno, ma a Beniamino diede
trecento sicli d'argento e cinque mute di vestiti; a suo padre mandò questo:
dieci asini carichi delle migliori cose d'Egitto, dieci asine cariche di
grano, di pane e di viveri per suo padre durante il viaggio. Così congedò i
suoi fratelli e questi partirono; ed egli disse loro: «Non ci siano, durante
il viaggio, delle liti tra di voi». Essi risalirono dall'Egitto e giunsero
nel paese di Canaan, da Giacobbe loro padre. Gli riferirono ogni cosa,
dicendo: «Giuseppe vive ancora ed è governatore di tutto il paese d'Egitto».
Ma il suo cuore rimase freddo, perché egli non credeva loro. Essi gli
ripeterono tutte le parole che Giuseppe aveva dette loro. Quando egli vide i
carri che Giuseppe aveva mandato per trasportarlo, lo spirito di Giacobbe
loro padre si ravvivò. E Israele disse: «Basta, mio figlio Giuseppe vive
ancora; io andrò e lo vedrò prima di morire».
CAPITOLO 46
Giacobbe e la sua famiglia in Egitto
Ge 45:9-28; 26:1-6
Israele partì con tutto quello che aveva e, giunto a Beer-Seba, offrì
sacrifici al Dio d'Isacco suo padre. Dio parlò a Israele in visioni
notturne, e disse: «Giacobbe, Giacobbe!» Ed egli rispose: «Eccomi». Dio
disse: «Io sono Dio, il Dio di tuo padre. Non temere di scendere in Egitto,
perché là ti farò diventare una grande nazione. Io scenderò con te in
Egitto, te ne farò anche sicuramente risalire e Giuseppe ti chiuderà gli
occhi». Allora Giacobbe partì da Beer-Seba; e i figli d'Israele fecero
salire Giacobbe loro padre, i loro bambini e le loro mogli sui carri che il
faraone aveva mandati per trasportarli. Essi presero il loro bestiame e i
beni che avevano acquisiti nel paese di Canaan e scesero in Egitto: Giacobbe
con tutta la sua famiglia. Egli fece venire con sé in Egitto i suoi figli, i
figli dei suoi figli, le sue figlie, le figlie dei suoi figli e tutta la sua
famiglia.
Es 1:1-5; Nu 26; 1Cr 2-8
Questi sono i nomi dei figli d'Israele che vennero in Egitto: Giacobbe e i
suoi figli. Il primogenito di Giacobbe: Ruben. I figli di Ruben: Chenoc,
Pallu, Chesron e Carmi. I figli di Simeone: Iemuel, Iamin, Oad, Iachin, Soar
e Saul, figlio di una Cananea. I figli di Levi: Gherson, Cheat e Merari. I
figli di Giuda: Er, Onan, Sela, Perez e Zarac; ma Er e Onan morirono nel
paese di Canaan; i figli di Perez furono: Chesron e Camul. I figli
d'Issacar: Tola, Puva, Iob e Simron. I figli di Zabulon: Sered, Elon e
Ialeel. Questi sono i figli che Lea partorì a Giacobbe a Paddan-Aram, oltre
a Dina, figlia di lui. I suoi figli e le sue figlie erano in tutto trentatré
persone. I figli di Gad: Sifion, Agghi, Suni, Esbon, Eri, Arodi e Areli. I
figli di Ascer: Imna, Tisva, Tisvi, Beria e Serac loro sorella; i figli di
Beria: Eber e Malchiel. Questi furono i figli di Zilpa che Labano aveva dato
a sua figlia Lea; lei li partorì a Giacobbe: in tutto sedici persone. I
figli di Rachele, moglie di Giacobbe: Giuseppe e Beniamino. A Giuseppe, nel
paese d'Egitto, nacquero Manasse ed Efraim, i quali Asenat, figlia di
Potifera, sacerdote di On, gli partorì. I figli di Beniamino: Bela, Becher,
Asbel, Ghera, Naaman, Ei, Ros, Muppim, Cuppim e Ard. Questi sono i figli di
Rachele che nacquero a Giacobbe: in tutto quattordici persone. I figli di
Dan: Cusim. I figli di Neftali: Iacseel, Guni, Ieser e Sillem. Questi sono i
figli di Bila, che Labano aveva dato a sua figlia Rachele; lei li partorì a
Giacobbe: in tutto sette persone. Le persone che vennero con Giacobbe in
Egitto, discendenti da lui, senza contare le mogli dei figli di Giacobbe,
erano in tutto sessantasei. I figli di Giuseppe, natigli in Egitto, erano
due. Il totale delle persone della famiglia di Giacobbe che vennero in
Egitto, era di settanta.
Ge 45:26-28; Lu 2:25-32
Giacobbe mandò davanti a sé Giuda verso Giuseppe, perché questi lo guidasse
nel paese di Goscen. Giunsero nella terra di Goscen. Giuseppe fece attaccare
il suo carro e salì in Goscen a incontrare Israele, suo padre; gli si
presentò, gli si gettò al collo e pianse a lungo sul suo collo. Israele
disse a Giuseppe: «Ora, che io muoia pure, giacché ho visto il tuo volto, e
tu vivi ancora!» Giuseppe disse ai suoi fratelli e alla famiglia di suo
padre: «Io andrò a informare il faraone e gli dirò: "I miei fratelli e la
famiglia di mio padre, che erano nel paese di Canaan, sono venuti da me.
Questi uomini sono pastori, perché sono sempre stati allevatori di bestiame
e hanno condotto con sé le loro greggi, i loro armenti e tutto quello che
posseggono". Quando il faraone vi farà chiamare e vi dirà: "Qual è la vostra
occupazione?", risponderete: "I tuoi servi sono stati allevatori di bestiame
dalla loro infanzia fino ad ora: noi come i nostri padri". Così abiterete
nella terra di Goscen, perché gli Egiziani hanno in abominio tutti i
pastori».
CAPITOLO 47
La famiglia di Giacobbe stabilita nel paese di Goscen
Ge 46:31-34; 45:7, 10-11; Sl 103:15-18
Giuseppe andò a informare il faraone e gli disse: «Mio padre e i miei
fratelli con le loro greggi, con i loro armenti e con tutto quello che
hanno, sono venuti dal paese di Canaan; ecco, sono nella terra di Goscen».
Poi prese cinque uomini tra i suoi fratelli e li presentò al faraone. Il
faraone disse ai fratelli di Giuseppe: «Qual è la vostra occupazione?» Essi
risposero al faraone: «I tuoi servi sono pastori, come lo furono i nostri
padri». Poi dissero al faraone: «Siamo venuti ad abitare in questo paese,
perché nel paese di Canaan non ci sono pascoli per le greggi dei tuoi servi;
poiché la carestia è grave, permetti ora che i tuoi servi abitino nella
terra di Goscen». Il faraone parlò a Giuseppe, dicendo: «Tuo padre e i tuoi
fratelli sono venuti da te; il paese d'Egitto sta davanti a te; fa' abitare
tuo padre e i tuoi fratelli nella parte migliore del paese; risiedano pure
nella terra di Goscen. Se conosci tra di loro degli uomini capaci, falli
sovraintendenti del mio bestiame». Poi Giuseppe fece venire Giacobbe, suo
padre, dal faraone e glielo presentò. E Giacobbe benedisse il faraone. Il
faraone disse a Giacobbe: «Quanti sono gli anni della tua vita?» Giacobbe
rispose al faraone: «Gli anni della mia vita nomade sono centotrenta. I miei
anni sono stati pochi e travagliati e non hanno raggiunto il numero degli
anni dei miei padri, al tempo della loro vita nomade». Giacobbe benedisse
ancora il faraone e si ritirò dalla sua presenza. Giuseppe fece abitare suo
padre e i suoi fratelli, diede loro una proprietà nel paese d'Egitto, nella
parte migliore del paese, nel territorio di Ramses, come il faraone aveva
ordinato. Giuseppe fornì pane a suo padre, ai suoi fratelli e a tutta la
famiglia di suo padre, secondo il numero dei figli.
Ge 41:30-36, 48-57
In tutto il paese non c'era pane, perché la carestia era gravissima; il
paese d'Egitto e il paese di Canaan soffrivano a causa della carestia.
Giuseppe raccolse tutto il denaro che si trovava nel paese d'Egitto e nel
paese di Canaan, come prezzo del grano che si comprava; Giuseppe portò
questo denaro nella casa del faraone. Quando il denaro fu esaurito nel paese
d'Egitto e nel paese di Canaan, tutti gli Egiziani vennero da Giuseppe e
dissero: «Dacci del pane! Perché dovremmo morire in tua presenza? Infatti il
denaro è finito». Giuseppe disse: «Se non avete più denaro, date il vostro
bestiame e io vi darò del pane in cambio del vostro bestiame». Quelli
condussero a Giuseppe il loro bestiame e Giuseppe diede loro del pane in
cambio dei loro cavalli, delle loro greggi di pecore, delle loro mandrie di
buoi e dei loro asini. Così fornì loro del pane quell'anno, in cambio di
tutto il loro bestiame. Passato quell'anno, tornarono da lui l'anno seguente
e gli dissero: «Noi non nasconderemo al mio signore che il denaro è esaurito
e le mandrie del nostro bestiame sono passate al mio signore. Non resta più
nulla che il mio signore possa prendere, tranne i nostri corpi e le nostre
terre. Perché dovremmo morire sotto i tuoi occhi, noi e le nostre terre?
Compra noi e le nostre terre in cambio del pane; noi con le nostre terre
saremo schiavi del faraone; dacci della semenza perché possiamo vivere e non
morire, e il suolo non diventi un deserto». Così Giuseppe comprò per il
faraone tutte le terre d'Egitto; infatti gli Egiziani vendettero ognuno il
proprio campo, perché la carestia li colpiva gravemente. Così il paese
diventò proprietà del faraone. Quanto al popolo, lo trasferì nelle città, da
un capo all'altro dell'Egitto; solo le terre dei sacerdoti non acquistò,
perché i sacerdoti ricevevano un'assegnazione stabilita per loro dal faraone
e mangiavano grazie all'assegnazione fatta dal faraone; per questo essi non
vendettero le loro terre. Giuseppe disse al popolo: «Ecco, oggi ho
acquistato voi e le vostre terre per il faraone; eccovi del seme; seminate
la terra; al tempo della raccolta, ne darete il quinto al faraone; quattro
parti saranno vostre, per seminare i campi e per nutrirvi con quelli che
sono in casa vostra e con i vostri bambini». Quelli dissero: «Tu ci hai
salvato la vita! Ci sia dato di trovar grazia agli occhi del nostro signore
e saremo schiavi del faraone!» Giuseppe ne fece una legge, che dura fino al
giorno d'oggi, secondo la quale un quinto del reddito delle terre d'Egitto
era per il faraone: soltanto le terre dei sacerdoti non diventarono del
faraone.
Ge 49:29-32; 50:4-13
Così gli Israeliti abitarono nel paese d'Egitto, nella terra di Goscen;
ebbero delle proprietà, furono fecondi e si moltiplicarono oltremodo.
Giacobbe visse nel paese d'Egitto diciassette anni; la durata della vita di
Giacobbe fu di centoquarantasette anni. Quando Israele s'avvicinò al giorno
della sua morte, chiamò suo figlio Giuseppe e gli disse: «Ti prego, se ho
trovato grazia agli occhi tuoi, mettimi la tua mano sotto la coscia e usami
bontà e fedeltà; non seppellirmi in Egitto! Ma, quando giacerò con i miei
padri, portami fuori d'Egitto e seppelliscimi nella loro tomba!» Egli
rispose: «Farò come tu dici». Giacobbe disse: «Giuramelo». Giuseppe glielo
giurò. Israele, rivolto al capo del letto, adorò.
CAPITOLO 48
Giacobbe benedice i due figli di Giuseppe
Ge 35:9-20; Gs 14:4; 1Cr 5:1-2
Dopo queste cose, fu detto a Giuseppe: «Ecco, tuo padre è ammalato». Allora
egli prese con sé i suoi due figli, Manasse ed Efraim. Giacobbe ne fu
informato e gli fu detto: «Ecco, tuo figlio Giuseppe viene da te». Israele
raccolse le sue forze e si mise seduto sul letto. Giacobbe disse a Giuseppe:
«Il Dio onnipotente mi apparve a Luz nel paese di Canaan, mi benedisse e mi
disse: "Ecco, io ti renderò fecondo, ti moltiplicherò, ti farò diventare una
moltitudine di popoli e darò questo paese alla tua discendenza dopo di te,
come proprietà perenne". Ora, i tuoi due figli che ti sono nati nel paese
d'Egitto prima che io venissi da te in Egitto, sono miei. Efraim e Manasse
saranno miei, come Ruben e Simeone. Ma i figli che hai generato dopo di loro
saranno tuoi; essi saranno chiamati col nome dei loro fratelli, quanto alla
loro eredità. Quanto a me, mentre tornavo da Paddan, Rachele mi morì nel
paese di Canaan, durante il viaggio, a qualche distanza da Efrata; e la
seppellii in quel luogo, sulla via di Efrata, che è Betlemme».
Eb 11:21; Is 8:18
Israele guardò i figli di Giuseppe e disse: «Questi, chi sono?» Giuseppe
rispose a suo padre: «Sono i miei figli, che Dio mi ha dati qui». Ed egli
disse: «Ti prego, falli avvicinare a me e io li benedirò». Gli occhi
d'Israele erano annebbiati per l'età e non ci vedeva più. Giuseppe li fece
avvicinare a lui ed egli li baciò e li abbracciò. Israele disse a Giuseppe:
«Io non pensavo più di rivedere il tuo volto ed ecco che Dio mi ha dato di
vedere anche la tua prole». Giuseppe li allontanò dalle ginocchia di suo
padre e si prostrò con la faccia a terra. Poi Giuseppe li prese tutti e due:
Efraim alla sua destra, alla sinistra d'Israele, e Manasse alla sua
sinistra, alla destra d'Israele, e li fece avvicinare a lui. E Israele stese
la sua mano destra e la posò sul capo di Efraim, che era il più giovane, e
posò la sua mano sinistra sul capo di Manasse, incrociando le mani; perché
Manasse era il primogenito. Benedisse Giuseppe e disse: «Il Dio alla cui
presenza camminarono i miei padri Abraamo e Isacco, il Dio che è stato il
mio pastore da quando esisto fino a questo giorno, l'angelo che mi ha
liberato da ogni male, benedica questi ragazzi! Siano chiamati con il mio
nome, con il nome dei miei padri, Abraamo e Isacco, e si moltiplichino
abbondantemente sulla terra!» Quando Giuseppe vide che suo padre posava la
mano destra sul capo di Efraim, ne ebbe dispiacere e prese la mano di suo
padre per levarla dal capo di Efraim e metterla sul capo di Manasse.
Giuseppe disse a suo padre: «Non così, padre mio, perché questo è il
primogenito; metti la tua mano destra sul suo capo». Ma suo padre rifiutò e
disse: «Lo so, figlio mio, lo so; anch'egli diventerà un popolo; anch'egli
sarà grande; nondimeno il suo fratello più giovane sarà più grande di lui e
la sua discendenza diventerà una moltitudine di nazioni». In quel giorno li
benedisse, dicendo: «Di te si servirà Israele per benedire, e dirà: "Dio ti
faccia simile a Efraim e a Manasse!"» E mise Efraim prima di Manasse. Poi
Israele disse a Giuseppe: «Ecco, io muoio; ma Dio sarà con voi e vi farà
ritornare nel paese dei vostri padri. Io ti do una parte di più che ai tuoi
fratelli: quella che conquistai dalle mani degli Amorei, con la mia spada e
con il mio arco».
CAPITOLO 49
Benedizioni profetiche di Giacobbe
De 33
Poi Giacobbe chiamò i suoi figli e disse: «Radunatevi, e vi annunzierò ciò
che vi avverrà nei giorni a venire. Radunatevi e ascoltate, o figli di
Giacobbe! Date ascolto a Israele, vostro padre! Ruben, tu sei il mio
primogenito, la mia forza, la primizia del mio vigore, eminente in dignità
ed eminente in forza. Impetuoso come l'acqua, tu non avrai la preminenza,
perché sei salito sul letto di tuo padre e hai profanato il mio letto su cui
eri salito. Simeone e Levi sono fratelli: le loro spade sono strumenti di
violenza. Non entri l'anima mia nel loro consiglio segreto, non si unisca la
mia gloria al loro convegno! Perché nella loro ira hanno ucciso degli uomini
e nella loro malvagità hanno tagliato i garretti ai tori. Maledetta la loro
ira, perché è stata violenta e il loro furore perché è stato crudele! Io li
dividerò in Giacobbe e li disperderò in Israele. Giuda, te loderanno i tuoi
fratelli; la tua mano sarà sul collo dei tuoi nemici; i figli di tuo padre
si inchineranno davanti a te. Giuda è un giovane leone; tu risali dalla
preda, figlio mio; egli si china, s'accovaccia come un leone, come una
leonessa: chi lo farà alzare? Lo scettro non sarà rimosso da Giuda, né sarà
allontanato il bastone del comando dai suoi piedi, finché venga colui al
quale esso appartiene e a cui ubbidiranno i popoli. Egli lega il suo
asinello alla vite e il puledro della sua asina alla vite migliore; lava la
sua veste col vino e il suo mantello col sangue dell'uva. Egli ha gli occhi
rossi dal vino e i denti bianchi dal latte. Zabulon abiterà sulla costa dei
mari; sarà sulla costa dove approdano le navi, il suo fianco s'appoggerà a
Sidone. Issacar è un asino robusto sdraiato fra due ovili. Egli ha visto che
il riposo è buono e che il paese è ameno; ha curvato la spalla per portare
il peso, ed è stato costretto ai lavori forzati. Dan giudicherà il suo
popolo, come ogni altra tribù d'Israele. Dan sarà una serpe sulla strada,
una vipera cornuta sul sentiero, che morde i garretti del cavallo e fa
cadere il cavaliere all'indietro. Io aspetto la tua salvezza, o SIGNORE! Gad
sarà assalito da bande armate, ma egli, a sua volta, le assalirà e le
inseguirà. Da Ascer verrà il pane saporito, ed egli fornirà delizie regali.
Neftali è una cerva messa in libertà; egli dice delle belle parole. Giuseppe
è un albero fruttifero; un albero fruttifero vicino a una sorgente; i suoi
rami si stendono sopra il muro. Gli arcieri lo hanno provocato, gli hanno
lanciato frecce, lo hanno perseguitato, ma il suo arco è rimasto saldo; le
sue braccia e le sue mani sono state rinforzate dalle mani del Potente di
Giacobbe, da colui che è il pastore e la roccia d'Israele, dal Dio di tuo
padre che ti aiuterà e dall'Altissimo che ti benedirà con benedizioni del
cielo di sopra, con benedizioni dell'abisso che giace di sotto, con
benedizioni delle mammelle e del grembo materno. Le benedizioni di tuo padre
sorpassano le benedizioni dei miei progenitori, fino a raggiungere la cima
delle colline eterne. Esse saranno sul capo di Giuseppe, sulla fronte del
principe dei suoi fratelli. Beniamino è un lupo rapace; la mattina divora la
preda e la sera spartisce le spoglie». Tutti costoro sono gli antenati delle
dodici tribù d'Israele; questo è ciò che il loro padre disse loro, quando li
benedisse. Li benedisse, dando a ciascuno la sua benedizione particolare.
Morte e sepoltura di Giacobbe
Ge 23:1, ecc.; 50:4-13
Poi diede loro i suoi ordini e disse: «Io sto per essere riunito al mio
popolo. Seppellitemi con i miei padri nella grotta che è nel campo di Efron
l'Ittita, nella grotta che è nel campo di Macpela, di fronte a Mamre, nel
paese di Canaan, la quale Abraamo comprò, con il campo, da Efron l'Ittita,
come sepolcro di sua proprietà. Qui furono sepolti Abraamo e sua moglie
Sara; furono sepolti Isacco e Rebecca sua moglie, e qui io seppellii Lea. Il
campo e la grotta che vi si trova furono comprati presso i figli di Chet».
Quando Giacobbe ebbe finito di dare questi ordini ai suoi figli, ritirò i
piedi nel letto, spirò e fu riunito al suo popolo.
Ge 47:28-31; 49:29-33
Allora Giuseppe si gettò sulla faccia di suo padre, pianse su di lui e lo
baciò. Poi Giuseppe ordinò ai medici che erano al suo servizio di
imbalsamare suo padre; e i medici imbalsamarono Israele. Ci vollero quaranta
giorni; perché tanto è il tempo che si impiega a imbalsamare. E gli Egiziani
lo piansero settanta giorni. Quando i giorni del lutto fatto per lui furono
passati, Giuseppe parlò alla casa del faraone, dicendo: «Se ora ho trovato
grazia ai vostri occhi, fate giungere agli orecchi del faraone queste
parole: "Mio padre mi ha fatto giurare e mi ha detto: «Ecco, io muoio;
seppelliscimi nel mio sepolcro, che mi sono scavato nel paese di Canaan».
Ora dunque, permetti che io salga e seppellisca mio padre; poi tornerò"». Il
faraone rispose: «Sali e seppellisci tuo padre come ti ha fatto giurare».
Allora Giuseppe salì a seppellire suo padre e con lui salirono tutti i
servitori del faraone, gli anziani della sua casa e tutti gli anziani del
paese d'Egitto, tutta la casa di Giuseppe e i suoi fratelli e la casa di suo
padre. Non lasciarono nella terra di Goscen che i loro bambini, le loro
greggi e i loro armenti. Con lui salirono pure carri e cavalieri, così da
formare un corteo numerosissimo. Quando giunsero all'aia di Atad, che è
oltre il Giordano, vi furono grandi e profondi lamenti. Giuseppe fece a suo
padre un lutto di sette giorni. Quando gli abitanti del paese, i Cananei,
videro il lutto dell'aia di Atad, dissero: «Questo è un grave lutto per gli
Egiziani!» Perciò fu messo il nome di Abel-Misraim a quell'aia, che è oltre
il Giordano. I figli di Giacobbe fecero per lui quello che egli aveva
ordinato loro: lo trasportarono nel paese di Canaan e lo seppellirono nella
grotta del campo di Macpela, che Abraamo aveva comprato, con il campo, da
Efron l'Ittita, come sepolcro di sua proprietà, di fronte a Mamre. Giuseppe,
dopo aver sepolto suo padre, tornò in Egitto con i suoi fratelli e con tutti
quelli che erano saliti con lui a seppellire suo padre.
Ge 45:1-11; Cl 3:12-14
I fratelli di Giuseppe, quando videro che il loro padre era morto, dissero:
«Chi sa se Giuseppe non ci porterà odio e non ci renderà tutto il male che
gli abbiamo fatto?» Perciò mandarono a dire a Giuseppe: «Tuo padre, prima di
morire, diede quest'ordine: "Dite così a Giuseppe: Perdona ora ai tuoi
fratelli il loro misfatto e il loro peccato; perché ti hanno fatto del
male". Ti prego, perdona dunque ora il misfatto dei servi del Dio di tuo
padre!» Giuseppe, quando gli parlarono così, pianse. I suoi fratelli vennero
anch'essi, si inchinarono ai suoi piedi e dissero: «Ecco, siamo tuoi servi».
Giuseppe disse loro: «Non temete. Sono io forse al posto di Dio? Voi avevate
pensato del male contro di me, ma Dio ha pensato di convertirlo in bene per
compiere quello che oggi avviene: per conservare in vita un popolo numeroso.
Ora dunque non temete. Io provvederò al sostentamento per voi e i vostri
figli». Così li confortò e parlò al loro cuore.
Vecchiaia e morte di Giuseppe
Eb 11:22; Gs 24:32
Giuseppe abitò in Egitto con la casa di suo padre; egli visse centodieci
anni. Giuseppe vide i figli di Efraim, fino alla terza generazione; anche i
figli di Machir, figlio di Manasse, nacquero sulle sue ginocchia. Giuseppe
disse ai suoi fratelli: «Io sto per morire, ma Dio per certo vi visiterà e
vi farà salire, da questo paese, nel paese che promise con giuramento ad
Abraamo, a Isacco e a Giacobbe». Giuseppe fece giurare i figli d'Israele,
dicendo: «Dio per certo vi visiterà; allora portate via da qui le mie ossa».
Poi Giuseppe morì, all'età di centodieci anni; e fu imbalsamato e deposto in
un sarcofago in Egitto.